Sacrificio

Il nostro parere

Sacrificio (1986) RUS di Andrej Tarkovskij


Alexander, un ex attore esperto di estetica e di storia delle religioni, vive insieme alla famiglia a Gotland, un’isola del Baltico. Mentre fervono i preparativi della sua cena di compleanno, si sente un forte boato che fa tremare l’intera casa.


Le notizie di guerra, la possibilità di un olocausto nucleare sono purtroppo tornate di attualità e così anche l’opera di Tarkovskij che, nata sulla fine della guerra fredda, è anche rivelatrice di angosce taciute e quasi dimenticate, evocate dall’ultimo film del regista russo, morto nel dicembre del 1986 a soli 54 anni, vincitore del Gran Premio della giuria a Cannes.

Tutto questo viene raccontato lentamente, in inquadrature elegantemente composte dalla straordinaria fotografia di Nykvist, tableaux vivant di altissimo valore, con silenzi intermedi. Quando i personaggi parlano, è raro impegnarsi in chiacchiere; l’eroe ha un lungo monologo sulla qualità delle nostre vite e sui modi in cui stiamo buttando via incautamente il futuro dei nostri figli. Quando l’uomo implora di fare il suo sacrificio, lo fa non inveendo e delirando verso il cielo, ma scegliendo una delle sue ancelle – un’umile lavoratrice – come una sorta di persona santa che potrebbe essere in grado di intervenire.

Sacrificio non è il tipo di film che la maggior parte delle persone ama vedere, ma quelli con l’immaginazione per rischiare potrebbero trovarlo gratificante. Tutto dipende dalla capacità di entrare in empatia con l’uomo del film, e Tarkovsky si rifiuta di ricorrere a trucchi narrativi per coinvolgerci. Alcuni film fanno la loro magia nella mente del pubblico; questo rimane risolutamente sullo schermo, lasciandoci liberi di partecipare solo se lo vogliamo.

 

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