Miseria e nobiltà

Il nostro parere

Miseria e nobiltà (1954) ITA di Mario Mattoli


Il figlio di un marchese vuole sposare la figlia di un ricco ma semplice cuoco. Assume due poveri uomini, Pasquale e Felice, per accompagnarlo e fingersi aristocratici quando va a chiedere la mano di lei, ma si creano messaggi contrastanti e caos.


L’opera celebra una delle commedie più famose di tutta la storia del teatro, quello napoletano soprattutto. Miseria e nobiltà è forse il canto del cigno nella lunga carriera di Eduardo Scarpetta, grande genio e rivoluzionario del teatro, attivo a Napoli tra il 1870 e gli anni Venti del ‘900, riproposto recentemente nel film Qui rido io di Martone.

Questo adattamento cinematografico diventa un mezzo per riscoprire le radici della commedia all’italiana, qui guidata soprattutto da Totò. Il film si fa apprezzare più per la sua interpretazione e la farsa frenetica da avanspettacolo che per le scelte registiche di Mattoli. Totò reinventa i dialoghi e eccelle nelle sue espressioni facciali, nei suoi gesti e nel suo senso di autoironia permanente.

Il film si assume pienamente come teatro filmato, dalla sequenza iniziale a quella finale, spalancando la scena dell’azione da una sala teatrale. Qui ridiamo della miseria per dimenticare che siamo affamati, nuovi arrivati ​​che cercano di farsi un posto nella decrepita nobiltà vendendo le figlie in matrimonio in un ritratto virulento della borghesia.

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