L’insostenibile peso degli anni (Amour di Michael Haneke)

Di Gianfranco Angelucci

Michael Haneke incrudelisce nobilmente con un film coraggioso e straziante, la tragica e ingloriosa fine di un’anziana coppia nella nostra civilissima epoca in cui ci viene negato di invecchiare e morire decorosamente. I progressi della chirurgia e della medicina hanno migliorato la qualità della vita…

e sconfitto le insidie più precoci del male, senza risparmiarci però gli effetti collaterali di una vecchiaia protratta in tutta la sua fragilità e innumerevoli acciacchi. L’individuo umano, indifeso e solo, può giungere ai novanta, ai cento anni, in un deserto affettivo desolante, abbandonato a se stesso o alle mani di cupidi mercenari induriti nel loro lavoro di monatti a contatto con corpi senza più controllo e individui privati di ogni dignità.  Inseguendo l’illusione di allontanare la morte ad oltranza nessuno ha pensato alle strutture che sarebbero state necessarie per accogliere una popolazione decrepita non autosufficiente; e l’odore delle carogne ha attirato al banchetto gli sciacalli affamati. Nel vuoto di assistenza si sono accampate legioni di improvvisate ‘badanti’ dai paesi meno sviluppati, incredule per un così facile guadagno; digiune di ogni competenza o addestramento, ma corteggiate al pari di salvatrici da parte di familiari atterriti o impotenti di fronte alla mancanza di tempo, di voglia, di energie per occuparsi di genitori o parenti già morti secondo il nuovo cinico pragmatismo.  La sanità non possiede più risorse per aprire le corsie degli ospedali ai lungodegenti. E intanto, disgregata la famiglia come nucleo allargato e protettivo, svilita la pietà religiosa, in via di estinzione le organizzazioni caritatevoli, rimangono sparuti gruppi di volontariato per i casi disperati; per gli altri si spalancano le porte di istituti di riposo in numero di gran lunga inferiore alle esigenze, e spesso assai simili a lazzaretti che i vecchi rifiutano come la peggiore delle ingiustizie. Gli orrori che si apprendono su come vengono trattati gli ospiti in alcuni veri e propri lager ci autorizzano a presagire il peggio. Questo è lo sfondo non dichiarato del film di Haneke, sia pure nella civilissima Parigi, decenni avanti rispetto all’Italia.  Georges e Anne sono rimasti soli nel loro confortevole appartamento di persone della buona borghesia, due insegnanti di musica in pensione, colti, amanti dell’arte, del pianoforte, dei buoni libri. La figlia, pianista con una vita privata disastrata, è molto spesso fuori città e non certo in grado di occuparsi di loro. Quando per un intervento malriuscito alla carotide ostruita Anne resta semi paralizzata in carrozzella, il marito che la ama come unica ragione di vita  decide di tenerla in casa a ogni costo. E’ il loro patto segreto; e Georges si adopera, per quanto malfermo, ad accudirla e nutrirla, a portarla in bagno, a lavarla, a spostarla da una stanza all’altra. Tre volte la settimana  può contare sull’aiuto di un’infermiera a ore, e per le necessità quotidiane si appoggia ai portinai che gli portano la spesa in cambio di laute mance. Ma la situazione degenera in fretta, Anne giace immobilizzata e semicosciente nel letto, Georges perde fiducia, capisce che il compito è superiore alle sue povere forze; legge negli occhi della moglie l’implorazione a interrompere quel calvario e una mattina  la soffoca schiacciandola sotto un cuscino con tutto il proprio peso, in un abbraccio mortale. Poi ne ricompone le spoglie, sceglie il miglior vestito con cui abbigliarla, le sparge intorno corolle di fiori. Infine sigilla con il nastro isolante usci e finestre e sparisce anche lui per sempre. Saranno i pompieri, abbattendo la porta di casa, a trovare il cadavere in decomposizione della donna. Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva, già eleganti protagonisti della Nouvelle Vague, entrambi oltre gli ottant’anni, si immedesimano nei personaggi con un’intensità e una verità agghiacciante; e il film ha vinto la Palma d’Oro all’ultimo festival di Cannes. Ma si esce dalla sala con un macigno sul cuore, senza scampo o consolazione.

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