Jimmy’s hall. Il solito Loach

Il nostro parere

Jimmy’s hall (2014) UK di Ken Loach
Loach ama gli eroi perdenti, gli eroi anarchici, ribelli verso il potere, la sovrastruttura, capaci di amare gli umili. La sua filmografia è pienissima di questi personaggi, sconfitti ma mai domi, indomiti nello sfidare, inutilmente, la borghesia.
La classe operaia che ha combattuto strenuamente contro le privatizzazioni della Thatcher (Riff Raff, Paul Mick e gli altri); i sindacalisti che cercano di dare diritti agli emarginati (Bread and roses), gli anarchici che credevano di lottare per la libertà spagnola e sono stati usati dai comunisti (Terra e Libertà): questi sono i suoi protagonisti.
A loro si affiancano un gruppo di ritratti proletari capaci di trovare in se stessi (mai nella società ma solo in se stessi) una forza rigenerativa. Caratteristica comune di questi ritratti è il riscatto che avviene non da soli, ma attraverso un’unione di anime che rinuncia all’egoistica affermazione di se stessi per il bene della comunità, del gruppo (Il mio amico Eric, La parte degli angeli, La canzone di Carla).
Jimmy Gralton è l’ultimo di questa serie di eroi. Nell’Irlanda degli anni ’20, dominata da una cricca di politicanti violenti e dalla invasività dell’influenza cattolica, Jimmy prova a portare un senso di comunità attraverso una sorta di centro sociale ante litteram, dove si discute, si riflette, si gioca, si balla in libertà, senza costringimenti sociali, senza differenze di ceto o di sesso.
Jimmy, già costretto a fuggire in America alcuni anni prima, presto diviene il simbolo della ribellione allo status sociale, odiato dall’Ira e dal parroco del paese che vede in lui il Diavolo. Contro di lui il potere dispiegherà tutta la sua forza maligna e pervasiva.
Loach è sempre impeccabile nella veste formale dei suoi film. I suoi film sono tesi, atti di accusa che, di volta in volta, scelgono come bersagli diverse incarnazioni del capitalismo. In questa frenesia ideologica sta spesso la sua debolezza come in Il vento accarezza l’erba. Qua, invece, l’opera manca di intensità e di ispirazione. Un buon prodotto medio per Loach, ma un rimpianto per noi.

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