J’accuse. Apologo pacifista prima del diluvio hitleriano

Il nostro parere

J’accuse (1938) FRA di Abel Gance

Remake di un film dello stesso regista, girato nel 1919 quando il primo conflitto mondiale si era appena concluso, recupera lo stesso spirito pacifista del precedente, adattandolo alla mutata situazione sociopolitica che nel 1938 prefigurava lo scontro armato che di lì a poco sarebbe cominciato.

E’ un film che si può dividere in tre parti. La prima è un potentissimo affresco bellico con immagini crude per l’epoca e coraggiose. L’inferno della guerra di trincea è evidenziato in modo nettissimo con un coraggio ed una libertà notevole. L’atteggiamento psicologico dei soldati è mostrato nella sua complessità e anticipa le tematiche Kubrickiane di Orizzonti di gloria. Senza dubbio l’inizio è folgorante e straordinario.

Il secondo pezzo è un puro melodramma. L’amore di Jean per Edith, soffocato per la promessa fatta, si trasferisce alla figlia di lei Helene. Naturalmente l’antagonista (che rimane un po’ troppo sullo sfondo) vuole portargli via la ragazza, aiutato in questo dalla follia che sta piano piano sgretolando l’equilibrio dell’ex soldato. Il ritmo va calando, la bravura di Victor Francen riesce a reggere la storia, meno convincente.

L’ultimo brano rappresenta il vero apologo. Jean Diaz si rivolge alle salme dei commilitoni morti ed essi ritornano sulla terra, insieme a tutte le vittime della guerra per impedire che la follia umana porti a nuove inutili morti. Se l’intelligenza premonitrice dello scritto, la chiarissima visione dell’abisso in cui il mondo sta per precipitare è incredibile (merito allo stesso Gance, sceneggiatore insieme a Steve Passeur), il film decade lentamente finendo per essere eccessivamente retorico.

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