Inno alla famiglia felice e insostituibile (The impossibile)

di Gianfranco Angelucci

La delusione accompagna le imperdibili proposte d’oltre oceano. “Broken City” con Russell Crowe nel ruolo del sindaco fellone di NY che predica “order and low” ma sprofonda nella corruzione e nel delitto, è un’ordinaria storia di corna e malaffare girata con onesto professionismo. Dirigono i fratelli gemelli neri Albert e Allen Hughes decisi a farsi un nome nel genere con poca spesa. Più cocente il disappunto, dopo tanta attesa, per l’ultimo film di Kathryn Bigelow, unica regista donna premio Oscar nella storia della Settima Arte. Virtuosa del film d’azione, respirato in ogni trucco accanto all’ex marito James Cameron, in questo film sulla cattura di Bin Laden sbaglia il preambolo, noiosissimo, che dura due buoni terzi della sceneggiatura. La trama è incentrata sull’ ostinazione di una funzionaria della CIA, Maya (Jessica Chastain), che ha annusato la pista giusta e non molla la presa. Ma l’emozione prende quota soltanto quando una squadra speciale decolla in assoluta segretezza su due imponenti elicotteri silenziati e invisibili a ogni radar. L’operazione di atterraggio e di irruzione nella palazzina fortificata dello sceicco della morte, ad Abbottabad, avviene nel cuore della notte (“Zero Dark Thirty”) con visori a raggi infrarossi ed equipaggiamenti avveniristici. I navy seals abbattono ogni modesto tentativo di resistenza risparmiando soltanto le donne e i bambini; poi infilano il cadavere di Bin Laden nell’apposito sacco a cerniera e si involano come sono venuti prima che la difesa aerea pakistana riesca a far alzare i propri caccia. L’uccisore del leggendario terrorista, non si è neppure reso conto dell’azione epocale portata a segno, pedina di una geometria perfetta. Maya ne è estasiata, la CIA gongola, l’umanità ringrazia.

Il vero outsider risulta invece “The impossibile”, dove si ricostruisce la vicenda reale di una famiglia spagnola travolta dallo tsunami del 2004 in Thailandia. Il film, convenzionale senza soprassalti, sta ottenendo un successo commerciale sorprendente soprattutto tra i giovani. I miei studenti di Accademia usano accenti di sincero trasporto, e la ragione è molto semplice: l’assunto rappresenta un inno alla famiglia, al sacrificio, alla lotta contro tutto per tenerla insieme. Ewan McGregor e Naomi Watts sono i felici genitori di tre maschietti; partono dagli Stati Uniti ansiosi della bella vacanza che li attende in un meraviglioso albergo sulla spiaggia. Ma quasi non fanno a tempo a mettersi in costume che si abbatte su di loro la gigantesca onda anomala. L’intero villaggio viene spazzato via in pochi secondi. La madre e il primo figlio, Lucas, riescono a salvarsi per miracolo, del marito e degli altri due bambini non si ha traccia né notizia; inghiottiti dai gorghi? Tutto il film racconta la disperata impresa di rimanere in vita tra orrore e desolazione. Gli ospedali sono congestionati, la mamma gravemente ferita a una gamba rischia la cancrena; ma il figlio la veglia intrepido e trova anche la forza per portare aiuto ad altri più sfortunati, improvvisandosi staffetta deamicisiana tra dispersi che non riescono a ritrovarsi. Alla fine tra la folla sbandata l’adolescente rintraccia il padre e i fratelli, li riunisce in ospedale accanto alla madre che finalmente viene operata e sopravviverà. L’amore, la fede, l’altruismo hanno vinto sulla natura matrigna, la famiglia è salva, e i lacrimoni scivolano dagli occhi. Abbiamo distrutto il nucleo più forte della società e adesso ne misuriamo sgomenti le conseguenze. Ne avvertono la mancanza soprattutto i ragazzi, molti dei quali, troppi, travolti senza scampo e senza colpa da un proprio doloroso, privatissimo tsunami.

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