Fascismo e nazismo nel cinema: una lezione

di Giovanni Scolari

Il fascismo e il nazismo utilizzavano con grande capacità il mezzo cinematografico come un grande organo di propaganda. La censura esercitata su ogni lavoro prodotto e l’uso dei cinegiornali come cassa di risonanza servì, più di ogni altra cosa, alla diffusione del mito dei regimi nazifascisti. Mussolini comprese immediatamente la potenza del mezzo tant’è che nel 1925 venne fondato l’istituto Luce con il preciso scopo di produrre direttamente i cinegiornali e, conseguentemente, i documentari che celebravano il regime. Dal 1926 tutte le sale furono obbligate ad inserire questi filmati nella loro programmazione giornaliera. Analogo fu il ragionamento di Hitler che giunse ad ispirare direttamente la realizzazione di opere quali Il trionfo della volontà e Olympia di Leni Riefenstahl.

Le due opere qua analizzate sono opposte come genere. In una il fascismo è tratteggiato nelle sue linee essenziali, nel secondo viene fatto vedere come il fenomeno fosse percepito in paesi ancora liberi e di come fosse possibile, attraverso la comicità, tracciare un quadro storico esemplare per completezza e profondità.

Nel film Scipione l’Africano di Gallone l’intervento dello stato è chiarissimo. Si tratta, infatti, del massimo sforzo produttivo del regime in termini di costo e di magniloquenza delle scene. Migliaia sono le comparse che appaiono, tutte appartenenti all’esercito, coinvolto anch’esso nella lavorazione. L’intenzione era di celebrare Mussolini attraverso un kolossal in tutto e per tutto simile alle produzioni statunitensi propugnatrici, invece, di ideali democratici e per questo prima limitate nella distribuzione e poi vietate.

La figura di Scipione è speculare a quella del duce. Il condottiero romano si muove sempre tra due ali di folla che lo acclamano come loro sovrano. Lo stesso popolo definisce la democrazia come una serie di chiacchiere inutili, infatti, affermano che l’abolizione del senato romano non sarebbe uno scandalo vista la sua manifesta inutilità. Si giustifica così l’operato mussoliniano e l’eliminazione di ogni libertà di organizzazione politica. Il Senato è raffigurato come un gruppo corrotto di politicanti intenti ai propri interessi, incapaci di ogni decisione. In particolare, emerge la figura di Quinto Fabio Massimo che corrisponde a quella di Giolitti. Massimo, riconosce lo stesso Scipione-Mussolini, ha fatto del bene all’Italia ma in un’ottica provinciale dominata dall’ignavia e dalla avidità. Il film si preoccupa, durante le scene iniziali ambientate nel Senato, di anticipare le critiche a Mussolini. Scipione, infatti, viene accusato di pensare solo alla propria sete di potere, ma chi lo fa non capisce, invece, che il condottiero agisce in quanto interprete del pensiero del popolo. In lui l’azione precede il pensiero, rendendo inutile, di fatto, ogni intermediazione politica e decisionale. La folla è accorsa da tutta Italia, come i camerati della Marcia su Roma, per acclamare l’eroe in un bagno di saluti romani e di fasci littori, sparsi ovunque per ricordare l’iconografia fascista.

È singolare la scelta del protagonista principale: Annibale Ninchi era sufficientemente famoso presso il pubblico, ma non corrispondeva certamente a particolari canoni di bellezza. Viene facile, così, accostarlo allo stesso Duce sia per la limitata altezza che per l’aspetto non particolarmente seduttivo.

Quali sono i modelli imposti dal film?

1. L’amore per la patria vista in un’ottica nazionalista ed imperialista (la conquista di Cartagine come la conquista appena completata dell’Etiopia).

2. Il ruolo della famiglia e delle donne. La moglie di Scipione è muta, rispettosa nei confronti del condottiero. Sta al suo posto badando ad accudire i figli che sono numerosi come vuole la propaganda fascista che relega le donne al ruolo di angelo del focolare. Le donne che, come Sofonisba la moglie di Siface, si occupano di politica lo fanno senza razionalità e criterio, diventando mostri di egoismo dominate dalla avidità e dall’odio. La sua sconfitta è inevitabile poiché è uscita dal ruolo che la donna deve ricoprire.

3. La storia è fatta da una limitata schiera di uomini eccezionali, di eroi capaci di prevedere quanto andrà ad accadere. Anche Annibale è raffigurato in questo modo: un uomo di grande intelligenza e coraggio, ma crudele ed insensibile, incapace di farsi amare dal popolo che invece lo teme. Questa, si suggerisce nel finale, è la causa della sua sconfitta. Ma pure lui deve vedersela con una classe di politicanti senza scrupoli, vera ragione (si intuisce) della decadenza di Cartagine.

4. La vittoria mutilata. La vicenda prende spunto dalle vittorie cartaginesi in Italia. In modo particolare, la sconfitta di Canne diventa il termine di paragone con i reduci della prima guerra mondiale. Essi sono rappresentati come sfiduciati, demoralizzati, spezzati nell’orgoglio e nell’amor patrio. I discorsi e l’esempio di Scipione-Mussolini li scuotono dal loro torpore: il gruppo raccogliticcio e pavido si trasforma nell’avanguardia dell’impero, nella crema dei combattenti. Non a caso nel monologo di Scipione si fa accenno alla pace con l’aggettivo “giusta”, richiamando con questo concetto le prepotenze che, secondo la propaganda fascista, l’Italia aveva subito con il trattato di pace di Versailles alla conclusione della prima guerra mondiale.

5. L’appoggio della Chiesa. Siamo nel 1937, ben dopo i Patti Lateranensi. Essendo ambientato il film in periodo precristiano, non poteva esserci ovviamente un riferimento esplicito alla Chiesa. Eppure, qualcosa viene fatto intuire ugualmente. Il Senato sottopone la nomina di Scipione a console di Sicilia al volere degli dei. Il responso è a favore dell’eroe che, come si vede, ha dalla sua sia il popolo che la religione. Il raffronto è un po’ forzato, ma non esisteva altro modo di accennare a come il Duce avesse anche la chiesa come sua alleata.

6. La forma plebiscitaria. Il film è intervallato da numerosi comizi di Scipione: nel Senato, a dorso di un cavallo, davanti alle truppe. Chiarissimo il rimando ai discorsi mussoliniani cui erano chiamati tutti gli italiani di persona o attraverso l’ascolto della radio amplificata nelle piazze di tutta la penisola allo scopo di propagandare meglio la novella fascista. Anche Scipione lancia slogan simili a quelli del Duce: l’incitamento che Annibale Ninchi recita (Morire per la patria) non è molto distante dal “credere, obbedire, combattere” che le camicie nere urlavano a squarciagola. Tuttavia, Scipione-Mussolini si presentava non come un truce dittatore (come Annibale faceva, invece), ma come un buon padre di famiglia, comprensivo e disponibile: un’immagine vincente, visto il sostegno dato al regime.

Nonostante il grande sforzo produttivo, l’impegno esplicito dell’apparato propagandistico, la spettacolarità delle scenografie e delle scene di massa, Scipione l’Africano è un parziale fallimento al botteghino. La scelta dell’interprete non è, infatti, felicissima. Il volto e il fisico di Ninchi non riescono a dare l’immagine di forza e virilità desiderata, il quadro peggiora per via della recitazione forzata e ampollosa che tende ad appesantire i monologhi. Il ritmo narrativo è stentato nella prima parte, nella seconda manca dell’afflato epico necessario per conquistare le platee. L’opera viene premiata come miglior film italiano al Festival di Venezia del 1937, ma non poteva essere diversamente visto che il capo della cinematografia italiana di quegli anni, Luigi Freddi, l’aveva presentata come l’occasione per “tradurre in immagini l’essenziale identità di spirito che unisce la Grande Roma della conquista africana alla Grande Roma della conquista etiopica”.

Ben diverso è il clima in cui si muove Charlie Chaplin quando decide di mettere mano ad una satira contro Hitler ed il nazifascismo. Siamo nel 1940 all’inizio del secondo conflitto mondiale. Chaplin, emigrato da tempo negli Stati Uniti, aveva subito ravvisato nel regime nazista un pericolo per l’umanità. Il film, iniziato quando ancora non si comprendeva appieno la portata del conflitto, anticipa molti eventi della seconda guerra mondiale sminuendo però la parte relativa allo sterminio degli ebrei. I lager, mostrati solo per brevi istanti, sono lontanissimi dalla realtà spaventosa dei campi di sterminio nazisti. Alcuni anni dopo, lo stesso Chaplin dichiarò che se avesse saputo che cosa accadeva effettivamente agli ebrei, non se la sarebbe sentita di girare una farsa sull’argomento.

Tuttavia, il genio comico di Chaplin ci aiuta ad individuare alcune chiavi di analisi importante e ad illustrare come fosse possibile, anche in quel periodo, comprendere fino in fondo la natura malvagia ed inumana del regime hitleriano.

L’incipit del film è nel pieno svolgimento della prima guerra mondiale, Chaplin ha quindi recepito la lezione degli storici che indicavano nella mancata soluzione dei tanti problemi sollevati dalla Grande Guerra, una delle cause del successo dell’ìdeologia nazista.

Subito dopo si passa alle adunate oceaniche del nazismo. Risolto con una parentesi ellittica (il lungo ricovero del barbiere ebreo) il passaggio dalla democrazia al regime hitleriano, Chaplin si concentra subito sul significato propagandistico di queste manifestazioni pubbliche. Ricostruisce l’apparato scenografico che vedeva Hitler-Hynkel dominare su una folla immensa. Alle sue spalle tutta la nomenklatura schierata in ordine di importanza. Davanti a lui una selva di microfoni che lo mettono in contatto con tutta la Tomania-Germania. Un commentatore ci ricorda poi l’importanza della radio e dei mass media nella visione nazista della società, radio che sarà presente lungo tutta la pellicola a fare da contrappunto alle diverse fasi delle manovre politiche di Hynkel. Straordinaria la performance di Chaplin che ripercorre fedelmente i toni, l’enfasi, la postura del modello reale. Un semplice confronto con i discorsi di Hitler serve più di ogni altra parola a sottolineare questa somiglianza. Nel suo comizio iniziale vi è tutta l’ideologia nazista:

1. Il fanatismo nazionalista. Il nazismo esaltava il concetto di patria e rivendicava uno spazio vitale per la grande Germania che riunisse tutti i gruppi di lingua e cultura tedesca sparsi per l’Europa. Così si spiegano le mire che porteranno all’annessione dell’Austria prima, alla conquista dei Sudeti e della Cecoslovacchia, nonché all’invasione della Polonia, causa scatenante della seconda guerra mondiale.

2. Il disprezzo per il liberalismo democratico. Nel suo discorso Hynkel afferma che la democrazia, la libertà di stampa e la libertà in generale fanno schifo cogliendo i sentimenti dimostrati dalle camicie brune nella loro ascesa al potere. Inoltre, si spiega così l’indifferenza mostrata verso le nazioni europee democratiche fino allo scoppio del conflitto.

3. L’esaltazione della razza. Secondo Hitler il mondo era diviso in razze e quella dominante era la razza ariana. Chaplin nel film parla di esseri perfetti, biondi e bellissimi su cui domina incontrastato un uomo solo, il dittatore ovviamente,. Chi non è corrispondente a questi principi (omosessuali, handicappati, malati di mente) va soppresso per purificare la razza.

4. L’antisemitismo. La causa della corruzione della Germania e del mondo intero sono gli ebrei. Per questo motivo essi vanno isolati e poi eliminati. Nel 1933 tutti i funzionari pubblici ebraici sono licenziati. Nel 1935 vengono vietati i matrimoni misti e gli ebrei perdono la cittadinanza tedesca. Poi la soluzione finale.

5. La cieca obbedienza del popolo. Durante le adunate il popolo applaude o tace a seconda dei semplici gesti della mano di Hynkel. In questo Chaplin non è tenero verso i tedeschi rappresentati come una massa informe, accecata dal fanatismo ed incapace di comprendere il male che li avvolge.

Nella sua visione farsesca, Chaplin coglie alcuni aspetti dei regimi nazifascisti confermati dagli storici solo diversi anni dopo. Ad esempio la conduzione del regime è ben distante da quello che crede il popolo tedesco. All’apparenza lo stato è un perfetto meccanismo che si muove senza intoppi, con grande efficienza. Purtroppo, di efficiente ci sarà solo il massacro degli ebrei. In realtà, come confermato da molte fonti storiche, Hitler era disinteressato alla gestione della cosa pubblica. Si limitava ad indicare una mansione e poi metteva una o più persone alla risoluzione del problema creando, per così dire, un caos controllato.

Mussolini viene descritto come un fanfarone con tratti di burinaggine. Le sue esagerazioni sono le esagerazioni della propaganda fascista. Il cineasta inglese ha capito prima dell’effettivo svolgimento della guerra che le sparate sull’efficienza della macchina bellica italiana erano assolutamente prive di fondamento.

Una curiosità. Nella copia del film distribuita in Italia dal 1949 ad oggi, è stata eliminata una scena in cui veniva sbeffeggiata la moglie di Napoloni-Mussolini. La decisione censoria è stata presa nel dopoguerra da apparati democristiani. Il motivo è ancora oggi sconosciuto anche se si può ipotizzare una tardiva forma di rispetto verso la vedova del Duce.

Il film si conclude con un messaggio di pace un po’ retorico e fuori luogo. La storia ha purtroppo dimostrato quanto l’auspicio di Chaplin sia rimasto inascoltato.

 

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