Cronaca di un amore

di Gianfranco Angelucci

Nella casa dei mandorli Lora vive un’innamorata solitudine; suo marito Tonino Guerra, il suo sposo e maestro come lo chiama lei, a trenta giorni dalla scomparsa, continua a indugiare invisibile ma presente nelle stanze vuote, nell’aria, nel giardino, tra gli alberi che recano già in primi frutti. Lassù in alto, addossata a una parete di pietra, c’è la poltroncina di vimini che guarda la vallata; un gatto ci si arrotola con gentilezza, facendo le fusa; qualche gradino più sopra, accanto a una grotta naturale, è stato scavato nella roccia il tabernacolo dentro cui è riposta l’urna. “La roccia di Tonino”, dice Lora, sedendosi su una sporgenza ricoperta di muschio, con in testa un foulard di seta e un impermeabile blu, leggero, stretto intorno al corpo.

Fa freddo a Pennabilli, e in quella posizione soprelevata il vento sibila per tutto il tempo del colloquio, si avvolge ostinato tra i rami frondosi del leccio, sollevando sommessi ruggiti. Ho chiesto a Lora di poter ‘riprendere’ un breve dialogo con lei, sono salito a quel nido d’aquila insieme al giovane collega Federico Tosi, armato di telecamera e giovanile, eccitata curiosità. Lora non può partecipare alla trasmissione sulla Romagna a cui l’ho invitata, il lutto non glielo consente: “In Russia siamo abituati così, per quaranta giorni dalla morte di un nostro caro non abbandoniamo la casa, perché lo spirito di chi è scomparso ancora aleggia intorno e non possiamo lasciarlo solo. Restiamo in comunicazione con lui fino a quando, dolcemente, si allontana.”

Le prime notti ha dormito addirittura nella fragile capanna costruita sulla seconda balza del giardino, per stare più vicina al suo sposo. Sembra un’izba, con un letto, un divano, qualche tappeto, un arazzo; da una radio portatile sempre accesa si diffonde una musica rasserenante. Lora ha ricreato un delicato angolo di Russia. “Non avevi freddo a dormire in questa capanna?” “Ci sono le coperte”. Mi risponde con un sorriso. “Con Tonino non ho mai avuto freddo.” Ne parla come se fosse lì con lei, e con noi; e sono anch’io convinto che sia così. “Lì sotto, vedi? c’è il giardino giapponese creato da lui.” E’ un lago in miniatura, con giochi d’acqua, le pietre disposte ad arte, una scultura di vetro interpreta la leggiadria di una fontana, e siamo davvero in uno scorcio di Giappone.

Dovunque ci muoviamo, due gatti come ancelle di una favola, precedono e seguono Lora, rivolgendole di tanto in tanto dei versi che non sono soltanto miagolii. Stiamo sconfinando in una fantasia di Tonino Guerra dove tra gli esseri viventi del creato non ci sono più distinzioni di genere; credo che per qualsiasi poeta di questo mondo avvenga così, anche per i tanti poeti che non scrivono versi. “Sono i doni di Tonino – continua Lora – questo giardino è un regalo continuo. Lì è stato sepolto Baba, il cane su cui Tonino, in “Polvere di sole”, ha scritto osservazioni che lasciano incantati; due guinzagli formano un disegno d’amore sopra la piccola tomba. “La lanterna che Tonino aveva pensato per lui per ora l’ho spostata vicina alla sua “roccia”; poi la rimetteremo a posto.”

Il ‘lucus’ di verde e di pietra, il santuario in cui riposa Guerra, non è stato ancora ultimato; il tappeto d’erba appare però lucente sotto il cielo imbronciato e minaccioso. Lora passa una mano lieve sulla porta del tabernacolo camuffata nella parete color lavagna chiaro, sorride: “Quando abbiamo travasato le ceneri, all’improvviso qualcosa ha brillato; l’ho presa tra le dita e mi sono accorta che era un piccolo pezzo d’oro: la sua fede si era fusa e ora lui me la restituiva. Un’ultima carezza. E’ sempre così, ogni giorno, in ogni momento avvengono piccoli prodigi in cui lo riconosco, è lui che mi parla, e io non so resistere.” “A che cosa Lora?” “A lui! Come quando ci siamo conosciuti e me ne sono innamorata. Adesso sta succedendo la stessa cosa, sento un calore, un volo di farfalle che mi sale dalla pancia, le donne forse mi capiranno, mi sto innamorando di nuovo di lui!”

Abbassa gli occhi cerulei, bellissimi, in un sorriso da adolescente, che sfuma via. Le donne innamorate, a qualsiasi età, hanno sempre sedici anni, vivono l’amore come il miracolo che è, senza retorica, con l’umiltà dipinta da Antonello da Messina sul viso di Maria, nel dipinto più famoso: “Ecce ancilla Domini”. Il vento stormisce tra le piante, qualche parola se ne va, strappata via. “Non ero bella” continua Lora “o forse un po’ sì, non lo so. Lui mi aveva chiamato signorina: “Signorina, lei conosce l’Italia, è mai stata dalle mie parti?” Aveva avuto un enorme successo parlando nella dacia di Paradjanov che si era riempita di amici, registi, poeti, intellettuali; non c’era più posto, e lui raccontava incantandoli tutti. Adesso lo stanno piangendo in Russia, più che in Italia; è adorato, venerato come un profeta. Ieri è venuta a trovarmi una ragazza giovanissima, molto avvenente, veniva da Mosca; “Il poeta mi ha detto che dovevo essere felice. Ora lo sono, e vengo a ringraziarlo.” Ma capisci, questa ragazza ha fatto migliaia di chilometri per consegnarmi il suo sentimento meraviglioso. Questo è Tonino.”

Percorrendo il sentiero tortuoso che dalla “Roccia” scende attraverso il giardino scosceso, terrazza dopo terrazza, Lora si ferma ad ogni angolo, su ogni pianta, perché ovunque la mano di Tonino ha trasformato la realtà che lo circondava in un luogo dell’anima,anzi “nel grande mistero della bellezza “ – spiega Lora – che se sciupiamo non ci rimarrà più nulla”. Mentre il giovane Federico, insaziabile, lascia scorrere l’occhio vitreo della sua telecamera su ogni particolare, passiamo davanti al “giardino di pietra” disegnato dal poeta: grandi corolle di marmo bianco, affiancate, su cui è inciso il nome degli amici: Marcello Mastroianni, Michelangelo Antonioni, Paradjanov, Tarkovskij. Altri sono in attesa; Theo Anghelopulos che se n’è andato all’improvviso, per un incidente balordo, pochi giorni prima di lui…

Scendiamo ancora; da un parapetto ci si affaccia al “Giardino dei pensieri”, ricavato da un rettangolo di terra circondato dalle mura originarie dei Malatesta, il primissimo insediamento della fortificazione. Austeri Totem di pietra ad altezza d’uomo, disegnati da Tonino, simboleggiano la materializzazione di riflessioni, di pensieri, a cui ogni visitatore può dare il significato più giusto per se stesso, se ha la grazia di sostare e sedere sulla panchina che è stata predisposta per lui. E’ un sito fatato, un ‘mandala’, un cerchio magnetico dove i lampi della mente diventano idee, e le tensioni si allentano.

Torniamo a casa. Nel soggiorno, sopra una cassettiera ricolma di oggetti, c’è seminascosta una fotografia di Lora, al tempo dell’incontro: gli occhi chiari e trepidanti illuminano il viso, e appare di una bellezza conturbante.” Il poeta se ne intendeva. “Gli piacevano le donne, erano tutte belle per lui.” Sorride Lora alzando maliziosamente gli zigomi da slava. “Quando aveva deciso di imparare il russo, mi aveva detto: “Non costringermi a parlare con quei tuoi amici rudi e noiosi, così non imparo niente. Mandami invece le tue amiche, quelle carine, meglio se una nuova ogni giorno. Era proprio un romagnolo!” Si diverte al ricordo, grata anche di quella complicità.

Come una maga antica attraversa le stanze, volteggia nella casa labirinto, ed eccoci nella veranda coperta, un jardin d’hiver con un’ampia vetrata affacciata sul verde della immensa vallata. “Questo era il suo posto preferito, si sedeva su quella poltrona e restava in contemplazione per ore.” Le sue tele dipinte sulle pareti laterali, i libri, le sculture, i rami benedetti d’ulivo e, oltre la trasparenza del cristallo, gli alberi che agitano le chiome sul declivio, inquieti. La poltrona è vuota: Federico la sta riprendendo in un silenzio religioso e palpitante. Credo sia una delle inquadrature più straordinarie di questa intervista che comparirà integralmente sul portale “Romagna noi”. Una testimonianza commovente e preziosa.

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