Adagio

Il nostro parere

Adagio (2023) ITA di Stefano Sollima


Il sedicenne Manuel si prende cura del padre con un passato criminale, ora affetto da demenza. Ricattato dalla polizia per il suo trascorso di festini con implicazioni politiche, Manuel si rivolge a un collega del padre, da poco uscito di prigione.


La capitale italiana è il palcoscenico di molte delle opere cinematografiche e televisive di Stefano Sollima. Corruzione, delitti e tradimenti sono temi ricorrenti nella sua trilogia su Roma, iniziata con la serie Romanzo criminale e proseguita con Suburra. Con Adagio, Sollima conclude la serie, affrontando non solo i temi già consolidati, ma anche una riflessione sulle future generazioni e su come esse affronteranno l’eterno ritorno del male, il circolo vizioso.

In Suburra, Roma era ancora un luogo oscuro, la cui oscurità rifletteva la decadente moralità dei suoi protagonisti, ma in Adagio appare completamente condannata. La città è avvolta da un bagliore arancione di fuoco incombente, mentre i blackout amplificano l’impressione di una città dannata. Sembra già essere all’inferno, o perlomeno in una sua anticamera, aggravata dal caldo opprimente che attanaglia la popolazione. I personaggi vivono in un inferno diverso o diventano agenti della distruzione, infliggendo punizioni giuste per i numerosi crimini commessi. Dall’inizio, Sollima crea un’atmosfera cupa e deprimente, facendo apparire Roma come un lago di peccato, dove i criminali vivono tranquillamente e la polizia compie atti atroci. Le potenti immagini del direttore della fotografia Paolo Camera accentuano l’impressione di una città perduta, senza moralità da lungo tempo.

Tuttavia, il film di Sollima fa un ulteriore passo avanti, esplorando un altro aspetto. Manuel, interpretato da Gianmarco Franchini, non è un angelo, ma è lontano dall’essere corrotto come gli altri personaggi più anziani. Voleva solo migliorare la sua vita, comprarsi qualcosa di bello, ma ciò ha portato al suo arresto e all’estorsione da parte di Vasco. Franchini interpreta un giovane il cui treno proverbiale non è ancora partito, ma che è sull’orlo di cadere nelle tenebre, come suo padre. Pierfrancesco Favino e Toni Servillo brillano nei panni di queste figure paterne, che hanno causato la propria rovina e non vogliono affrontare i loro errori. La loro colpa pesa come una macina al collo, ereditata dalla generazione successiva. Sollima sembra spiegare che il circolo vizioso deve essere spezzato e si chiede se un nuovo inizio sia possibile o se il potere purificatore del fuoco debba distruggere tutto.

 “Adagio” è un noir teso e vibrante, coinvolgente e narrativamente avvincente; Sollima conquista lo spettatore con personaggi essenziali e dirompenti, vivi nella loro totale perdizione, condannati dalle colpe inenarrabili. Il ritmo franto, la fotografia fiammeggiante, ci restituiscono un girone infernale in cui la speranza è affidata ad un giovane che può essere salvato ancora, mentre tutto intorno va verso il male.

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