Un sogno cinematografico di stoffe e colori – Danilo Donati a Villa Manin

di Gianfranco Angelucci

“Trame di cinema” si intitola con doppio riferimento al telaio e al gusto della narrazione, la mostra dedicata ai costumi cinematografici di Danilo Donati, due volte premio Oscar per Romeo e Giulietta di Zeffirelli e per Il Casanova di Fellini; incontrastato principe delle sartorie fino al Pinocchio di Benigni quando, al termine delle riprese, uscì di scena il 2 dicembre del 2001.

Nei mesi precedenti avevamo progettato insieme un’esposizione delle sue creazioni sul set, che doveva essere anche l’immersione nell’illusionismo di un mestiere dove lo sguardo del pittore si fonde con la genialità dell’artigiano. Donati, originario di Suzzara, presso Parma, aveva studiato affresco all’Accademia di Belle Arti di Firenze e avrebbe voluto diventare pittore, avendo sperimentato la rivelazione del proprio talento nello studio di Ottone Rosai. Ma la sua professione seguì un altro corso, fu cooptato alla corte scaligera di Luchino Visconti, collaborò con due delle più grandi costumiste dell’epoca, Lila De Nobili e Maria De Matteis, approdò fatalmente a Roma nell’appartamento di Franco Zeffirelli, un ultimo piano di via Due Macelli affacciato su Piazza di Spagna, crocevia di numerosi artisti destinati a diventare presto famosi. E dal cinema si lasciò ingoiare; una debolezza che non riuscì a perdonarsi per tutta la vita, come fosse stato il peggior tradimento alla sua vera vocazione.

Pur avendo riscosso premi e successi più di ogni altro, coccolato, vezzeggiato, conteso da Pasolini Zeffirelli e Fellini, massimi registi della sua stagione, non smise mai di ostentare nei confronti del proprio lavoro uno sprezzante distacco; ma intanto travasava nei film la sua passione pittorica, la magia dei suoi idoli, da Piero della Francesca a Rosso Fiorentino, a Pontormo, solfeggiando sulle tastiere cromatiche e luministiche dei grandi Maestri, fino a Wattau a Guardi e Canaletto, a Monsù Desiderio. Per ispirata iniziativa di Piero Colussi, di Andrea Crozzoli di Cinemazero e della romana Sartoria Farani, la mostra immaginata da Danilo diventa ora realtà a Villa Manin di Codroipo, in Friuli.

Alla scomparsa di Piero Farani, che creò sulla scia di Danilo Donati uno dei più importanti atelier del cinema, Luigi Piccolo, erede eccellente della filosofia della casa, ha messo a disposizione la sterminata raccolta di costumi. Pezzi unici che negli elegantissimi spazi di Villa Manin, già residenza dell’ultimo Doge e del futuro primo imperatore di Francia, Napoleone, rievocano i titoli leggendari del nostro cinema nella sua stagione più gloriosa. Negli ambienti raccolti come boudoir, o ariosi pari a palcoscenici di teatro, risaltano per lo stupore dello spettatore centinaia di abiti di scena, dalle invenzioni arcaiche dell’Edipo Re, alle creazioni rinascimentali di La Bisbetica domata o settecentesche di Casanova. Damaschi, lane intrecciate, turbanti di raso, tuniche inconsutili, armature, manti, stole, vesti plissé, velluti lucenti, corpetti ricamati, gli elmi trucibaldi, i copricapo torreggianti come fantascientifiche sculture, gli strascichi, i panneggi, le trasparenze, i barbarici gioielli e accessori. Nel sapiente allestimento pannelli di quinta o di sfondo ingigantiscono i fotogrammi del film corrispondente e, a fianco, l’esatto dettaglio del dipinto preso a ispirazione. Il catalogo di Silvana Editoriale curato da Clara Tosi Pamphili rivela ogni piega e segreto del viaggio incantato, schiudendo scorci insospettabili attraverso testimonianze dal vivo o saggi specialistici. Le fotografie di Mustafa Sabbagh, di origine giordana, ritraggono tutti gli abiti indossati da modelli viventi, manichini in carne e ossa dal volto rigorosamente nascosto; nella convinzione che i costumi di Donati conservino ancora, se ben esibiti, il calore assorbito dai corpi, le luci e le ombre dei teatri di posa, le emozioni e i tremori impigliati per sempre nelle stoffe. Palpita intorno il grande spettacolo del set, di cui subiamo da un secolo l’incantesimo pur essendo il cinema l’ultima e la più immateriale delle arti: una semplice pellicola di gelatina sensibile alla luce, sostituita ai nostri giorni dal sistema digitale che traduce le immagini in numeri e viceversa.

Sullo schermo i giochi di ombre ci catturano e travolgono; ma trascorso quel sogno, nulla rimane di concreto, né pietra, né bronzo, né tela, né colori, né pagine scritte. Forse i costumi, con la loro tangibile presenza, agiscono come i guardiani della soglia, sono la prova provata che quel sogno affascinante esiste davvero e non soltanto nella nostra mente.di Gianfranco Angelucci

 

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