The interpreter – Nazioni ferite

Il nostro parere

The interpreter (2005) USA di Sidney Pollack


Silvia lavora come interprete presso la sede delle Nazioni Unite a New York. Un giorno la donna ascolta per caso una conversazione telefonica riguardo un omicidio. Da quel momento la sua vita è in pericolo e viene affidata all’agente Keller.


Ultimo film alla regia per il premio oscar Sidney Pollack, morto soli 3 anni dopo, insieme ad altri premi Oscar come Nicole Kidman e Sean Pen, e primo film girato all’interno delle Nazioni Unite a New York, dove un tempo perfino il mitico Hitchcock non era riuscito ad entrare.

L’opera è uscita mentre il terrore degli attentati terroristici di gruppi estremisti era molto forte e sentito, quindi si inserisce in un filone molto prolifico all’epoca per quanto improbabile nelle sue conclusioni e nelle velleità di giustizia purtroppo smentite successivamente.

Il centro del film è un complotto diabolico decisamente forzato, ma Pollack lo conduce con un ritmo serrato e teso, nonostante alcune cadute melodrammatiche che risultano forzate nel contesto.

Pollack riconosce gli obiettivi di diplomazia, giustizia e pace dell’organizzazione. Ma quei valori sono solo lo sfondo di un melodramma che cerca di dissipare la banalità attraverso la molteplicità. Quindi abbiamo ben tre leader rinnegati del fittizio paese africano di Matobo, uno al potere e due in fuga, ciascuno, si presume, deciso a uccidere gli altri e tutti i civili innocenti che potrebbero mettersi in mezzo.

Non abbiamo uno, ma due personaggi con storie familiari traumatiche: Silvia Broome, la linguista delle Nazioni Unite del titolo, che ha perso persone nei combattimenti di Matobo, e Tobin Keller, un agente dei servizi segreti statunitensi che beve molto e chiama la segreteria telefonica di sua moglie morta da pochissimo.

La storia d’amore non è molto più convincente del mistero così che tutto risulta poco credibile.

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