Money monster (2015) USA di Jodie Foster
Lee Gates è il conduttore di un programma di economia di successo. In realtà, è un cinico divenuto cialtrone per difendersi da un vita sempre più arida di successi e di sentimenti. Lo hanno abbandonato tutti: le mogli, il pubblico e la sua regista, nonché amica, sta per passare alla concorrenza. Un uomo lo prende in ostaggio per protesta poiché ha perso i risparmi seguendo il consiglio economico di Lee, rivelatosi disastroso. Quali i motivi di questo improvviso crollo in borsa? C’è una truffa? Come funziona oggi la finanza? Ecco le domande che Kyle, l’uomo armato che minaccia Lee, pone a lui e al pubblico.
Il film assume il tono della commedia nella prima parte dove Clooney gigioneggia alla grande, giocando sempre sopra le righe e facendo sponda con la Roberts, più appartata nell’economia della trama. Dopo l’ingresso di Kyle nello studio, la regia si sposta mantenendosi in precario equilibrio tra la farsa e l’analisi sociologica ed economica della finanza di Wall Street, tra la commedia ed il dramma. In un soprassalto di dignità Lee smetterà i panni del buffone per porre le domande giuste, per cercare di comprendere come gli squali del Business capitalizzano sempre i guadagni riuscendo a scaricare le perdite sui piccoli azionisti.
Jodie Foster torna alla regia dopo il disastroso Mr. Beaver, recuperando parte delle intuizioni presenti nelle sue due prime opere, piccoli gioiellini a basso costo. Padroneggia il mezzo cinematografico con capacità e passione, ma manca di ogni forma di poesia, concentrandosi sulla recitazione degli attori e sulla forma, piuttosto che sulla sostanza delle cose.
La sceneggiatura di Di Fiore, Kouf e Linden manca di profondità e preferisce utilizzare schemi narrativi consueti, privilegiando le soluzioni più semplici e anche più ruffiane. La strizzatina d’occhio al pubblico, l’accondiscendenza ai buoni sentimenti, limitano la corrosività di una storia che potenzialmente poteva dare di più.