La maman et la putain (1973) FRA di Jean Eustache
Alexandre è un giovane e pigro disoccupato francese che non ha problemi a farsi mantenere dalla più matura Marie, con cui intrattiene una relazione di tipo aperto. Un giorno il giovane incontra un’infermiera, Véronika.
Il libertino e il puritano, pur sembrando agli antipodi, condividono un tratto comune: entrambi considerano il sesso una questione cruciale. È con questa premessa che si apre il film francese La Maman et la Putain, diretto da Jean Eustache nel 1973. Realizzato in un’epoca in cui la rivoluzione sessuale era ancora fresca, ma già si iniziavano a percepire le prime crepe e dubbi morali, il film si inserisce in questo clima di disillusione.
L’opera, della durata considerevole di tre ore e mezza, è ambiziosa e coraggiosa. Ambiziosa per la sua lunghezza, coraggiosa per la scelta di raccontare una storia così intima e ridotta all’essenziale. Se il film fosse durato solo 90 minuti, la storia avrebbe rischiato di risultare banale, ma Eustache riesce a trasformare questa dinamica apparentemente semplice in qualcosa di molto più profondo e coinvolgente.
Il film è straordinariamente verboso, con dialoghi che sembrano dilatarsi all’infinito. Una delle prime scene, in cui Alexandre tenta disperatamente di riconquistare una vecchia fiamma, dura ben quindici minuti, durante i quali assistiamo alla sua agonia e umiliazione. È una sequenza che cattura l’essenza del film: non tanto la storia in sé, quanto il modo in cui viene raccontata, il tempo che Eustache dedica a ogni momento, rendendo il dolore di Alexandre palpabile per lo spettatore.
Gran parte del film è composta da conversazioni – interminabili chiacchierate notturne tra Alexandre e Veronika, spesso seduti a letto, fumando e bevendo. In questi momenti, il tempo sembra fermarsi e l’angoscia esistenziale dei personaggi emerge con forza.
Nonostante la verbosità e la lunghezza, La Maman et la Putain riesce comunque a colpire per la sua autenticità. Le performance degli attori, in particolare di Jean-Pierre Léaud e Françoise Lebrun, contribuiscono a rendere vividi personaggi che, pur immersi nel loro egocentrismo e narcisismo, riescono a suscitare empatia. Tuttavia, il film risente del suo tempo: oggi appare datato, non tanto per i temi trattati, quanto per la sua lentezza e prolissità, caratteristiche che lo rendono difficile da seguire per un pubblico contemporaneo.
In definitiva, nonostante la sua lunghezza e l’impressione di vaghezza in alcune parti, il film arriva a un finale angosciato e potente, dimostrando che Eustache aveva ben chiara la direzione verso cui voleva portare il suo pubblico.