Bentornato Presidente – La triste realtà

Il nostro parere

Bentornato Presidente (2019) ITA di Giuseppe Fontana e Giancarlo G. Stasi

Giuseppe Garibaldi, detto Peppino, ruspante campagnolo datosi alla vita agreste dopo una bizzarra esperienza come Presidente della Repubblica, viene chiamato a Roma per svolgere il ruolo di Presidente del Consiglio.

Sequel del fortunatissimo Benvenuto Presidente del 2013, quest’opera riprende il filo della vita di Peppino Garibaldi e dell’Italia. Dopo alcuni anni di anonimato, Peppinno ritorna in politica per cercare di riconquistare il cuore della sua amata che lo ha abbandonato per la sua passività. Si trova in una nazione ancora più avvitata su se stessa, egoista e condizionata dai sociali.

L’evidente critica politica e sociale dovrebbe essere da applauso in questo momento perchè è difficile che qualcuno si schieri contro il nuovo ed imperante potere politico del governo neroverde, ma il copione si rifugia presto in un moralismo sterile contro tutti e tutto. Non si salva nessuno (e questo è forse l’aspetto migliore dell’opera): il governo, l’opposizione, il popolo, la finanza sono tutti protesi al proprio interesse personale. Solo Peppino e pochi altri sembrano osservare con sbigottimento questo imbarbarimento, lo sprofondare di una nazione nell’ottusità e nell’ignoranza.

I registi pensano di salvare tutto con il discorso finale, citando sia il primo episodio che il famoso monologo di Chaplin/Hynkel in Il grande dittatore, non a caso la parte più retorica e bolsa dell’intero capolavoro. Ma è una soluzione di comodo, perchè permette loro di evitare di prendere posizione, di emergere dal populismo che contraddistingue il filone.

Anche nel primo film c’era tutto questo, ma almeno era nascosto dal ritmo brioso dei dialoghi e degli avvenimenti, dall’efficacia della regia di Milani che parlava di cose che conosceva. In questo caso sembra che la trama sia presa da internet, in un copiaincolla superficiale dei problemi economici e sociali.

Mancando la comicità si poteva puntare sul politicamente scorretto e sulla cattiveria, come hanno fatto Ficarra e Picone in L’ora legale che affrontava, sia pure da un punto di vista molto diverso, le stesse tematiche. E loro erano pure divertenti! Il buonismo finale, invece, è l’ennesima stonatura di un film che non parla della realtà, la fotografa solo da lontano.

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