Wild. La coscienza selvaggia ed oscura.

Il nostro parere

Wild (2014) USA di Jean Marc Vallèe

Dopo aver dato l’Oscar a McCounaghey per Dallas Buyers Club, il regista canadese Vallèe ci è quasi riuscito con Reese Witherspoon, regalandole il ruolo più bello che abbia avuto dall’Oscar in poi.

Una giovane donna Cheryl appena uscita dal divorzio, cerca di ricostruire la sua vita con una scelta estrema: abbandona tutto e percorre il Pacific Crest Trail, un sentiero escursionistico tra montagne e pianure americane lungo 4.286 km. Nei tre mesi e passa del suo viaggio, Cheryl rimette insieme i pezzi del passato, riflettendo sul rapporto fortissimo che la legava alla madre stroncata da un tumore. Dopo la sua scomparsa, Cheryl è caduta in un abisso di depressione con tanto di abuso di droga e alcol. Staccandosi dalla civiltà e recuperando il rapporto con se stessa, riesce a trovare un nuovo sé. Dall’esperienza è nato un libro, poi portato sugli schermi.

Il film ha molti punti in comune con Into the wild anche se ha un finale ben diverso. Centrale è la ricerca di se stessi attraverso il sacrificio fisico, il contatto con la natura selvaggia ed incontaminata, lontana dalle sovrastrutture della società che ci condannano ad un ruolo, ci imprigionano nel grigiore della quotidianità. Un non luogo che, se avvertito come prigione, diventa motivo di autodistruzione.

Vallèe segue il paesaggio, lo fa diventare parte del personaggio. Non ricerca la vedutistica; l’elemento naturale esiste in quanto è collegato al percorso interiore della protagonista. Lo sguardo scavato della Witherspoon è lo specchio di un’anima dilaniata, incapace di guardarsi dentro, che riesce a riemergere dal torpore. Brava

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