Viaggio a Tokyo

Il nostro parere

Viaggio a Tokyo (1953) JAP di Yasujiro Ozu


Due anziani coniugi di provincia vanno per la prima volta a Tokyo a visitare il figlio e la figlia ambedue sposati. Entrambi sono occupati nel lavoro e non hanno tempo, né voglia, di star dietro ai genitori. Solo la vedova di un altro figlio disperso in guerra, pur essendo povera, li tratta con gentilezza e fa loro visitare la città. Le delusioni che emergono in questo viaggio sono sopportate con rassegnazione dalla vecchia coppia.


“Viaggio a Tokyo” di Yasujiro Ozu narra una storia semplice e universale come la vita stessa. Si tratta di alcuni giorni ordinari nella vita di persone ordinarie e poi della morte inattesa di una di loro. Ciò che ci racconta sulla natura della vita e della morte non è nuovo o originale – cosa potrebbe esserlo? – ma è vero.

Il film è stato realizzato nel 1953, nello stesso periodo in cui un gruppo di grandi film giapponesi iniziava a fare una prima impressione sul pubblico occidentale. I più noti sono “Rashomon,” “I racconti della luna pallida d’agosto”,ma “Viaggio a Tokyo” non fu importato in quel periodo; la fama di Ozu è successiva.

È chiaro che si tratta di uno dei capolavori non riconosciuti del cinema giapponese degli inizi degli anni ’50, e che Ozu ha più di qualcosa in comune con quell’altro grande regista, Kenji Mizoguchi (“I racconti della luna pallida d’agosto”). Entrambi usano le loro macchine da presa come osservatori impassibili e onesti. Entrambi sembrano riluttanti a manipolare il tempo reale in cui le loro scene sono recitate; Ozu usa un montaggio molto contenuto e Mizoguchi spesso riprende le scene in piani sequenza non interrotti.

Con Ozu, è come se i personaggi vivessero le loro vite inconsapevoli che un film stia venendo girato. E così li conosciamo gradualmente, iniziamo a cercare caratteristiche personali e a comprendere le implicazioni di piccoli gesti e commenti sommessi.

“Viaggio a Tokyo” richiede più pazienza iniziale di quanto alcuni spettatori siano disposti a fornire. Il suo effetto è cumulativo, tuttavia; il ritmo finisce per sembrare perfettamente adatto al materiale. E ci sono scene che saranno difficili da dimenticare: La madre e il padre che ringraziano separatamente la nuora per la sua gentilezza; l’odissea notturna del padre ubriaco attraverso una notte di nostalgia nei bar; e la sua reazione quando apprende che probabilmente sua moglie morirà.

Prodigioso in questo senso il lavoro compiuto da Chishu Ryu che aveva solo 49 anni all’epoca eppure recita da perfetto settantenne. Vedere gli altri film di Ozu lascia sbalorditi perché in quel periodo Ryu interpreta ogni fase d’età passando da quarantenne energico a settantenne spento senza soluzioni di continuità e con un’aderenza che stupisce.

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