Quattro passi tra le nuvole (1941) ITA di Alessandro Blasetti
La guerra è iniziata e sembra sorridere al fascismo. Eppure, Blasetti (magari condizionato da Zavattini, uno degli autori della sceneggiatura) estrae dal suo cilindro un film molto diverso da quelli epici, in costume, cui aveva abituato. E’ un film bello, malinconico e nostalgico. C’è una ingenua visione del mondo agricolo ritratto come bucolico, giusto, ancorato alla tradizione ma moderato dal buonsenso. Una visione senza dubbio irreale, forse ricercata proprio perché le nubi della guerra, nonostante i proclami, si addensano sopra l’Italia lasciando tutti sgomenti e atterriti.
L’eroe è Gino Cervi, modesto rappresentante, tiranneggiato in casa dalla routine ma capace di slanci umanitari e di momenti di sincerità da grande uomo. Un uomo in gabbia, come vediamo nel finale, che appena può uscire si riscopre vivo, appassionato.
La fotografia è splendida (il cecoslovacco Vich), in modo particolare nel dialogo tra Cervi e la Rissone quando lei rivela la sua condizione (incinta, ma abbandonata) e la disperazione che l’ha spinta a ritornare a casa, in cerca di un porto sicuro, ammesso che i genitori accettino di perdonarla.
Al di là di una visione molto paternalista del mondo, il film è molto moderno con un ritmo ed un testo ancora attuali. Bravissimi tutti gli attori tra cui un divertentissimo Giacinto Molteni.
Il ritratto che ne esce parte dalla contrapposizione campagna (tradizione e solidità) verso città (ipocrisia, pigrizia, decadenza), ma si allarga a condannare la condizione della donna, pur nel rispetto della gerarchia patriarcale e dell’idea cattolica del perdono, e la società italiana nel suo complesso, descritta come caotica, infingarda, imbrogliona.
Film visto e ammirato da cineasti di tutto il mondo è anticipatore di tematiche neorealiste. Gli americani, che ci vedono lungo, ne hanno fatto un remake, molto inferiore, nel 1985 Il profumo del mosto selvatico con Keanu Reeves.