Paterson – Poesia urbana

Il nostro parere

Paterson (2016) USA di Jim Jarmusch

Paterson è un autista di autobus che vive un’esistenza mediocre e monotona, fatta di semplici gesti e rituali quotidiani. Segretamente, però, egli è un poeta in grado di osservare il mondo in maniera del tutto speciale.

La trama si srotola ogni giorno in una routine apparentemente immobile, monotona. L’unico momento di illuminazione è quello della scrittura dove si rivela il mondo interiore dell’uomo, osservatore attento della realtà, cultore segreto della bellezza. Paterson si sveglia ogni mattina guardando un orologio che non segna mai la stessa ora, ma quasi la stessa ora; ogni giornata si svolge quasi esattamente nello stesso modo e, durante il lavoro, Jarmusch racconta il passaggio del tempo attraverso le parole e le fermate, in un susseguirsi di incontri casuali come propone la vita.

Opera concettuale, omaggio perenne a William Carlos Williams, Paterson è un cinema silenzioso e zen, lento, apparentemente simile a se stesso. Invece, ogni immagine è cesellata, ogni momento è curato nei dettagli, così come i personaggi secondari. Lasciando da parte per un momento il protagonista, possiamo osservare un suo collega coperto di negatività che sa solo elencare le sue sfortune, una bambina che non ha paura di raccontare la sua poesia, il barista filosofo, lo scrittore giapponese che chiude il film, momento catartico del film. E’ quest’ultimo, in un gioco speculare con Paterson, che sa cogliere l’afflato lirico dell’istante, che sa risvegliare l’animo poetico dell’autista con l’offerta del taccuino pieno di pagine bianche.

Paterson perde le sue poesie improvvisamente (e chissà se Jarmusch conosceva la genesi dei Canti Orfici di Campana quando ha scritto la sceneggiatura), ma  rinasce ad un nuova vita artistica con un semplice dono. L’osservazione e la contemplazione resteranno in lui come elemento perenne di disincantato movimento.

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