L’ordine del tempo

Il nostro parere

L’ordine del tempo (2022) ITA di Liliana Cavani


Un gruppo di amici di vecchia data si ritrova ogni anno in una villa al mare per festeggiare il compleanno di uno di loro. L’arrivo di vaghe e incerte notizie su una possibile fine del mondo interrompe i festeggiamenti. La comitiva inizia a riflettere sul presente e sul passato, con prese di coscienza e confessioni reciproche.


Il film si ispira a un trattato scientifico di Carlo Rovelli, diventando così una riflessione sulle tensioni generate dalle guerre e da quelle che suscitano visioni apocalittiche del futuro, imprevedibili e inaspettate.

Liliana Cavani, ormai novantenne, affronta queste tematiche, trasformando il tutto in un racconto collettivo che sembra provenire dalla creatività di Ozpetek. I protagonisti si ritrovano in una villa affacciata sul mare. Le notizie in arrivo parlano di un asteroide lungo quasi due chilometri, in procinto di collidere con la Terra. La paura permea il fine settimana dei personaggi, mentre si dipana tra speranze e segreti terrori. Nel frattempo, la vita continua e molti nodi verranno sciolti nei loro rapporti.

Se l’aspetto della pellicola si configura come un narrato etico che intraprende la collaudata strada dell’interazione tra adulti per esplorare le personalità e le relazioni,

“L’ordine del tempo”, sebbene presenti somiglianze con tale genere cinematografico, alcune delle quali straordinariamente aeree nel senso calviniano della narrazione – pensiamo a alcuni lavori di Rohmer di antica data ormai – si discosta in realtà da essi.

Il film si dedica a esplorare una sorta di gravità esistenziale opposta, affrontando quel senso di precarietà che corrode l’esistenza nell’ansia di un futuro contrastante con un presente insoddisfacente. Un clima di sottile angoscia si fa strada, interrotto da gioie fittizie dietro a bicchieri di spumante.

La razionalità scientifica di Enrico, anche se esperta, non riesce a consolare né i suoi amici né Paola, il suo antico e tormentato amore. Colui che riflette davvero sul futuro è la giovane domestica peruviana che prende la decisione concreta di abbandonare tutto per ritornare a rivedere il figlio cresciuto durante la sua assenza.

Il film si scontra con la sua completa immersione in una borghesia (un termine antico, ma degno di essere riutilizzato) in un modo ormai esausto e abbastanza incapace di percepire il dolore proveniente da altre realtà. Una classe sociale che si rinchiude in se stessa, esaminando i propri errori e confessandoli in vista di una possibile fine, di una probabile redenzione da tutti i peccati. Il tempo si deforma e lo spazio si incurva, come Enrico ben sa, e la narrazione della regista emiliana si espande e si contrae, regalando attraverso una sequenza arricchita dalla voce di Leonard Cohen, l’unica piccola felicità in un film che, nonostante l’ottimismo di fondo, tradisce una paura inspiegabile, priva di contatto con il mondo circostante.

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