Il fabbricante di gattini (1969) di Rainer Werner Fasssbinder
Il film narra le vicende di un gruppo di uomini e donne della piccola borghesia; dialogano, fanno sesso, sono aggressivi, si riuniscono insieme o in coppia. Tutto procede nel suo ordine fino a quando non arriva l’emigrante greco Jorgos. L’uomo è visto come una minaccia dagli altri uomini che invidiano il suo successo con le donne, mentre è visto con curiosità dalle donne che lo ritengono più virile. Il flirt tra Marie e lo straniero destabilizza il gruppo, cosicché alla fine Jorgos verrà massacrato di botte perché tutto deve essere riportato all’ordine.
Il titolo richiama il modo dispregiativo con cui venivano chiamati gli immigrati. Fassbinder agisce con chirurgica precisione mostrando l’insofferenza verso un’esistenza vuota ed insoddisfacente. I personaggi vivono nella propria meschinità, prigionieri della perfidia, della loro condizione sociale da cui non possono, né vogliono uscire. L’elemento perturbante, Jorgos, deve essere espulso. I chiari riferimenti alla sua condizione personale (non a caso Fassbinder interpreta proprio l’emigrante) diventano momento di riflessione politica e sociologica della Germania di quegli anni.
Da guardare con attenzione le numerose passeggiate a due riproposte continuamente con la stessa angolazione, la stessa musica e gli stessi tempi. Cambiano solo i personaggi che interagiscono e i dialoghi, comunque vuoti ed inespressivi. Il regista, ancora alle prime armi, utilizza i poverissimi mezzi a sua disposizione per fornire un quadro borghese senza però riuscire ad incidere come più tardi gli sarebbe riuscito. Il materiale mostrato, pur ricco di intuizioni, è ancora grezzo e disomogeneo.