Bon voyage. Il viaggio nel cinema.

di Massimo Morelli

Il cinema ha nel viaggio la sua essenza. Il movimento anima la staticità dell’immagine fotografica trasformandola in dinamica e cinematografica illusione di realtà. Georges Méliès è un prestigiatore. Il 28 dicembre 1895 è uno dei trentatre fortunati spettatori che, al museo Grevin di Parigi, assiste alla prima proiezione dei fratelli Lumière. Immediatamente Méliès comprende che si può andare oltre. Proprio perché e’ un prestigiatore intuisce che con i suoi “trucchi” rudimentali, i primi effetti speciali, il cinema è magica fantasmagoria che diventa spettacolo. Arte che irride la scienza a bordo di astronavi che ” viaggiano nella luna” e “attraverso l’impossibile”.

Ben presto Hollywood crea un nuovo genere: nasce il “road movie”, il film lungo la strada che con “Alice nelle città” rivela il talento di Wim Wenders. Il regista tedesco stimola il cinema italiano. Silvio Soldini con “Le acrobate”, Gabriele Salvatores con “Marrakech express”, Carlo Mazzacurati con “Il toro” e Maurizio Nichetti con “Honolulu baby” accompagnano le traiettorie esistenziali di personaggi impegnati nella ricerca di sé stessi e della propria libertà.

Infinite sono le ragioni che spingono a viaggiare: “Viaggio all’inizio del mondo” del portoghese Manoel de Oliveira invita lo spettatore alla ricerca delle proprie radici, mentre “Bad boy Bubby” dell’olandese Rolf de Heer libera il protagonista da trentacinque anni di segregazione materna, per poi seguirlo nei suoi primi passi alla scoperta del mondo. Con “Verso il sole” l’indipendente americano Michael Cimino racconta il coraggioso e ostinato viaggio verso i luoghi delle proprie origini di chi ormai è consapevole di essere prossimo alla morte. Con Francis Ford Coppola risaliamo il fiume controcorrente e in “Apocalypse now” ci inoltriamo nei più profondi e oscuri abissi di senso dell’esistenza. Se si è in viaggio alla ricerca di un amore difficilmente lo si ritrova, come avviene ne “Il viaggio di Felicia” dell’armeno-canadese Atom Egoyan, al contrario irrompe sempre nella nostra vita quando altri erano i percorsi: “Gadjo Dilo – Lo straniero pazzo” del gitano giramondo Tony Gatlif e “Buffalo’ 66” dell’americano Vincent Gallo.

Impossibile muoversi senza fare incontri. Indipendentemente dalle cause che ci portano in strada, a volte il motivo può essere la grande fuga di chi come in “Daunbailò” di Jim Jarmusch evade dal carcere, l’amicizia per ogni viaggiatore è sacra ed è quasi inevitabile intrecciarla con chi si incontra sul nostro cammino come dimostra “Western” del francese Manuel Poirier. Tutti viaggiano, nessuno escluso. Viaggia per tutta la notte passando da un treno all’altro nella metropolitana di Milano “Maicol”, un bambino “dimenticato” da una madre “distratta” nel film di Mario Brenta e viaggiano gli anziani che in “Una storia vera” di David Lynch e nel recente “A proposito di Schmidt” contrappongono alla folle, giovane e frenetica corsa verso il nulla la lentezza/saggezza della vecchiaia. Qualche volta accade, come in “Musica per vecchi animali” di Stefano Benni ed Umberto Angelucci e in “Central do Brasil” di Walter Salles, che anziani e bambini viaggino insieme.

Non sempre viaggiare è un piacere, ci si sposta perché costretti, per necessità e disperazione, spesso la fine è tragica. “Lontano” di André Téchiné mostra la realtà di chi cerca di entrare in Francia nascosto nel doppiofondo di un camion, così come “Lamerica” di Gianni Amelio racconta il “sogno” albanese di approdare via mare nel “paradiso” italiano.

Fatali per chi li incontra sono gli appuntamenti con i serial killers, che nel cinema americano scorrazzano sulle strade del destino de “La rabbia giovane” di Terrence Malick e “Natural born killers” di Oliver Stone. Non mancano esperienze originali e stravaganti. Nel film “Insalata russa” di Jurij Mamin, complice la magia di una finestra nascosta, è possibile immergersi nella scintillante vita parigina, dimenticando per qualche ora quella buia ed opprimente che si conduce a San Pietroburgo. Di mano in mano e di sguardo in sguardo, così come fanno le persone, si spostano anche gli oggetti. Un libro, riconoscibile per via di una dedica, impiega due lustri di tempo prima di ritornare nelle mani di Sara in “Serendipity” di Peter Chelsom, mentre il funerale fluviale di un’enorme statua di Lenin, adagiata sopra una chiatta, scivola sui Balcani silenzioso e struggente nel film “Lo sguardo di Ulisse” del greco Thodoros Anghelopulos. Tornando a casa, ovvero la fine del viaggio, il viaggio di chi ritorna. Per “Ulisse” di “Nostos, il ritorno” del bresciano Franco Piavoli e per Chuck Nolan, moderno “Robinson” di “Cast away” dell’americano Robert Zemeckis è un’esigenza insopprimibile, impossibile per il capitano Bowman nel viaggio senza ritorno oltre l’infinito in “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick.

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