A thousand and one

Il nostro parere

A thousand and one (2023) USA di A.V. Rockwell


Inez vive a New York e fa la parrucchiera. La donna ha dovuto dare in affidamento il figlio, Terry, 6 anni, ma spesso lo va a trovare. Un giorno decide di portarlo via dalla struttura. Terry è contento di stare con la madre e lega subito con Lucky, il suo compagno.


La prima volta che appare Inez De La Paz, il galvanico centro di “A Thousand and One”, è incorniciata contro un muro rosso, in movimento, come spesso la seguiamo nel suo percorso di vita. E non c’è da stupirsi: Inez è una forza della natura: dura, bella e incrollabilmente leale. Si muove veloce perché non ha altra scelta, perché la vita la costringe a scontrarsi con sfide sempre più difficili, perché il suo dolore le impedisce di essere felice e serena.

Interpretata da un’ipnotizzante Teyana Taylor, Inez ti tiene rapito in questa storia di amore, sopravvivenza, maternità. Si apre nel 1994 e poi salta prima al 2001 e poi al 2005, un lasso di tempo che ci porta dall’inizio degli anni di tolleranza zero del sindaco Giuliani all’inizio dei tempi del boom di Bloomberg. Lungo la strada, gli edifici cadono e si alzano e Inez cresce quel bambino, Terry (di solito lo chiama solo T), un bambino senza sorriso che cresce diventando alla fine una sorta di miracolo.

“A Thousand and One” è il primo lungometraggio di A.V. Rockwell, e anche questo può sembrare un miracolo, un piccolo film solo nel senso di intimo, umanamente profondo. Non ha stelle, solo alcuni volti ma questi volti hanno carattere, personalità, storia, come la visione di New York e dei suoi edifici affollati e cadenti, con la loro grandezza sbiadita, i tubi fragili e i colori violenti.

Ciò che interessa Rockwell sono le vite negli appartamenti, come caoticamente fluiscono avanti e indietro nelle strade, pompando energia nella città, animandola e sostenendola. Rockwell, che ha anche scritto il film, è nata e cresciuta nel Queens (I suoi genitori sono giamaicani.); conosce New York e vuole che si sappia e si senta. Ha il senso del luogo di un documentarista e mentre mostra la sporcizia e il disordine, trova anche la bellezza – e la storia toccante – in cui le parti frastagliate e caleidoscopiche della città si adattano in modo irrequieto per creare un insieme vibrante.

Con il passare del tempo, Rockwell gioca con il genere – il dramma sul problema sociale, il melodramma materno – così come con il colore, la luce e la consistenza, le variazioni che si completano e commentano i cambiamenti che accadono al di fuori dell’appartamento di Inez e Terry. Rockwell si piega ripetutamente anche nei panorami della città, utilizzando scatti lunghi e viste aeree per ancorare New York (e tu) in tempi e luoghi specifici. Quando si sofferma su un’immagine centrata sul segno rosso incandescente del Teatro Apollo, sta offrendo uno scorcio di bellezza. Sta anche legando la storia e la sua gente a una storia, che è presto in pericolo da nuovi vicini e martelli.

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