Il prigioniero di Amsterdam – Le porte della guerra

Il nostro parere

Il prigioniero di Amsterdam (1940) USA di Alfred Hitchcock

Poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, un giovane giornalista americano scopre un complotto con a capo del complotto un finto pacifista inglese, in realtà gerarca nazista.

C’è molto in questo film che gli appassionati di Hitchcock possono analizzare ed esaminare per capire come il regista creava la suspense. Il film ha una certa notorietà per come Hitch haspinto i limiti e gli effetti speciali avanzati per dare vita alle scene d’azione. Ha usato miniature e retroproiezione, oltre a trucchi scenici. Tra questi la scena dell’ammaraggio dell’aereo è girata con una qualità impressionante per l’epoca. Inoltre ci sono richiami a scene e movimenti di macchina visti in altri film poi citati nei manuali di storia del cinema.

Altro particolare importante è l’evoluzione della sceneggiatura che chiedeva la pace ma, sulla scorta di quanto stava accadendo in Europa, viene modificata per invitare gli USA all’intervento: una specie di avviso. Hitler è appena menzionato all’inizio del film e le svastiche sono assai poco presenti ma la pressante necessità di fermare i nazisti diventa poco alla volta determinante per l’intreccio.

Hitchcock e il direttore della fotografia Rudolph Maté riducono tutto, lavorando con lo spazio angusto e le luci soffuse per creare un’atmosfera claustrofobica e scomoda. La messa in scena oscura precede e in qualche modo predice il film noir, mostrando l’influenza dei registi tedeschi sul regista. La colonna sonora si riduce a un sussurro e la minaccia della violenza diventa sempre più reale. È il modo di Hitchcock di togliere la lucentezza immaginaria ai suoi cattivi, di ricordare al suo pubblico con chi potrebbe presto avere a che fare se scoppierà la guerra.

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