Il filo nascosto. Legami invisibili

Il nostro parere

Il filo nascosto (2017) USA di Paul Thomas Anderson

Nella Londra degli anni ’50, il rinomato sarto Reynolds Woodcock e sua sorella Cyril sono al centro della moda britannica, realizzando i vestiti per la famiglia reale, star del cinema, ereditiere, debuttanti. Le donne entrano ed escono nella vita di Woodcock, dando ispirazione e compagnia allo scapolo incallito, fino a quando non incontra una giovane e volitiva donna, Alma, che presto diventa parte della sua vita come musa e amante.

Anderson alterna opere apparentemente distanti tra loro. In realtà in comune hanno il controllo ossessivo sul dettaglio, la strutturazione innervata su un mondo intero rappresentato sapientemente. Che sia il suo luogo di formazione, la San Fernando Valley dei primi film, o la Londra degli anni ’50, come in questo caso, ogni inquadratura rasenta la perfezione formale, un equilibrio raro che ricorda il rigore di Kubrick e Hitchcock.

Il mondo di Reynolds Woodcock è chiuso, avvolto nelle spire della sua genialità, costruito intorno alla sua personalità ossessiva, gelida e autocelebrativa. La sorella Cyril è l’unica a possedere le chiavi di questo mondo in virtù di un rapporto che va al di là della semplice fratellanza, legato ai ricordi e al mondo infantile su cui lui ha eretto il suo atelier ed il suo stile. grazie al rapporto morboso che lo legava alla madre. Alma, musa modella e, occasionalmente, amante, si trova schiacciata in questa situazione, come tante altre prima di lei. La sua reazione, però, non è la fuga ma la rivendicazione del suo ruolo fondamentale attraverso un atto estremo che la nobilita agli occhi dell’uomo.

Ancora una volta, quindi, Anderson propone personaggi assoluti: Daniel Plainview di Il petroliere, Lancaster Dodd di The Master e ora Reynolds Woodcock. Ancora una volta Daniel Day Lewis crea un personaggio indimenticabile che si cucisce intorno, in cui si immerge completamente, così come Joaquin Phoenix e il sempre rimpianto Philip Seymour Hoffmann sapevano fare. Di questi attori si circonda Anderson e forse in questo sta in parte la sua leggenda. Leggenda che sarà per sempre di Day Lewis se, come annunciato, davvero questo sarà il suo ultimo film, a soli 61 anni. Colmo di 3 Oscar (unico attore ad aver avuto questo privilegio), 6 nomination e chissà quanti altri premi, fornisce l’ennesima maniacale interpretazione: sbalorditivamente perfetta.

Tornando all’opera siamo di fronte ad una pellicola che rappresenta metaforicamente la figura stessa del regista. Il protagonista rifiuta il mondo, si isola nel suo atelier come l’autore fa sul set, in una programmatica forma di ribellione al cattivo gusto, all’imperante moda del brutto, in un riconoscimento speculare della propri adispotica essenza che giostra dominando il movimento di tutti gli altri. Anderson si è voluto guardare allo specchio? Non ha poi fatto sempre la stessa cosa in tutte le sue pellicole? Non ha sempre lottato con i suoi fantasmi e le sue ossessioni rappresentandole cammuffate in ispirate vicende nella storia?

Anderson è autore a tutto tondo, uno dei più grandi dell’America di oggi, sempre lontano dalle mode e dedito al suo percorso autoriale in cui Il filo nascosto rappresenta l’ennesima gemma, l’ennesima riflessione.

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