Il diavolo veste McCarthy – The counselor di Ridley Scott

di Gianfranco Angelucci

Non era solo Toby Dammit a scommettere la testa col diavolo, tanti altri lo hanno fatto prima e dopo di lui; e la catena giunge fino allo scrittore più terribile e potente che vanti oggi l’America, Cormac McCarthy, autore sulfureo della Trilogia della Frontiera, Meridiano di sangue, Non è un paese per vecchi, La strada, vincitrice del premio Pulitzer.

I film tratti dalle sue opere sono intrisi di una violenza insostenibile, un’aria malata, irrespirabile, da inferno. E ora scopriamo che anche un artista di tale statura e singolarità deve molto a Fellini; anzi lo copia apertamente nella pellicola che sta spopolando sugli schermi, “The Counselor” (Il Procuratore) diretto da Ridley Scott. Una sorpresa davvero grande perché la trovata narrativa, ma anche la premessa morale, filosofica, che la anima, prende origine da una vicenda dai bagliori demoniaci che ci riguarda molto da vicino.

Nel 1967 Fellini aveva superato per miracolo una malattia misteriosa che lo stava conducendo a morte, convinto un po’ superstiziosamente (ma non tanto) che fosse la conseguenza di un progetto rimasto poi irrealizzato, un’indebita incursione nell’Aldilà intitolata “Il viaggio di G. Mastorna”. E quando il regista era tornato sul set per un film a episodi chiamato “Tre passi nel delirio”, si era appoggiato a un racconto di Edgar A. Poe. La trama, rimaneggiata insieme allo sceneggiatore Bernardino Zapponi, narrava di un attore inglese chiamato a Roma per interpretare il primo “western cattolico” prodotto direttamente dal Vaticano; una fiammante Ferrari rossa decappottabile sarebbe stata la ricompensa per la sua partecipazione. Il personaggio (interpretato da Terence Stamp) costantemente in preda alle allucinazioni della droga e dell’alcol, fin dall’arrivo in aeroporto intrattiene un amorevole rapporto visionario con una bambinetta che fa rimbalzare una palla, gli sorride, lo attrae con la sua enigmatica presenza. Durante la festa per la promozione del film, frastornante e incomprensibile, il protagonista fugge, balza al volante della Ferrari scoperta e parte a precipizio percorrendo strade che non conosce. Giunge a un viadotto che bruscamente si interrompe: spezzato in due tronconi sopra una voragine. Toby Dammit scorge sull’altra sponda la bambina che gioca con la palla e decide di raggiungerla lanciando a tutta velocità il suo bolide per volare al di là del baratro; e non si accorge di un cavo teso sul vuoto, invisibile nella notte, che gli mozza di netto la testa. Con essa ora gioca la bambina, che ha assunto il sembiante del diavolo. Un vero capolavoro, sebbene tra le opere meno note di Fellini; il quale non cessa con la sua complessa creatività di ispirare il mondo dello spettacolo.

Ecco infatti che Toby Dammit riappare: non si chiama così, e la storia è diversa, ma identica la maledizione che incombe sui personaggi i quali, come Toby, si sono dannati (Dammit = damn it!). Fino al punto di scavalcare quel confine da cui non si torna indietro: il regno del male. Come avverte la scritta di Malebolge: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”. Lo stesso Lucifero, il principe degli angeli, ribellandosi a Dio sprofonda all’inferno e lì rimarrà conficcato in eterno nella ghiaccia. Il Male dunque non è un concetto astratto ma una dimensione concreta che espone a gran rischio l’essere umano; il male, come del resto il bene, non ha confini, e ne abbiamo quotidiana dimostrazione: è inaudito il grado di efferatezza a cui l’uomo può spingersi, la sconvolgente quantità di sofferenza che è capace di infliggere ai propri simili e ad altri esseri del creato, a volte per puro piacere: pensate soltanto agli snuff movie, i film pagati a peso d’oro in cui si assiste alla morte, tra crescenti tormenti, di una bella ragazza o di un bambino. Non esiste limite alla malvagità, come non esiste limite all’avidità, due facce della stessa medaglia. I mercanti di morte, di droga, di armi, appartengono ai dannati che popolano questa Terra traendo profitto dalle perversioni di altri dannati che comprano i loro servizi. E questo tema della perdizione, anticipato da Fellini cinquant’anni fa, è il medesimo che ritroviamo nel film di Ridley Scott, girato con raffinata maestria e carico di violenza e tensione fin dentro le molecole. La punizione dei reprobi è ancora la stessa: teste recise con il più abominevole degli strumenti. Anche il povero counselor azzarda con colpevole leggerezza la sua privata scommessa col diavolo, e non gli è concesso di tornare indietro: perde atrocemente tutto, se stesso e la donna che ama più di se stesso.

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