I David di Donatello: la storia – 3

1999 Fuori dal mondo di Giuseppe Piccioni

E’ un film piccolo e grazioso, ma troppo timido nell’approfondimento, nella qualità dell’immagine e nella sceneggiatura. La visione è piacevole anche per merito di Silvio Orlando, davvero in parte e convincente. Lascia perplessi l’accostamento con altri titoli vincitori; è vero che il cinema italiano ha perso molto, ma sembra un premio sproporzionato.

2000 Pane e tulipani di Silvio Soldini

Ci sono due Soldini: uno tetro e amaro che guarda il mondo con disperazione, un altro (il gemello del primo?) capace di osservare con grazia, delicatezza ed ironia quanto ci accade intorno. Il secondo è esploso con questa pellicola e ha conquistato tutti.

2001 La stanza del figlio di Nanni Moretti

Ci sono state diverse polemiche sul successo di questo film, vincitore della Palma d’Oro a Cannes. Il Foglio di Ferrara ha imbastito una campagna invero eccessiva contro Moretti, protagonista in quegli anni dei girotondi. Chissà se davvero, come accusato, il regista abbia preso in modo massiccio da un libro. Come spettatori il film colpisce e commuove; strazia e coinvolge. Bravissimi gli attori di contorno. Si tratta di una svolta per Moretti che cambia registro, abbandonando (solo esteriormente) le riflessioni psicanalitiche del proprio io, e si apre alla narrazione più distesa, classica.

2002 Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi

Settantunenne e minato nel fisico, Olmi insegna a tutti come il fa il grande cinema con pochi soldi, ma con immenso gusto ed intelligenza. Pur essendo stato girato in economia, si respira la grandezza dell’epoca, la maestosità del momento, quasi fosse un kolossal di serie A americano. Invece, è un film piccolo ma straordinario, uno dei più riusciti affreschi storici dell’intera storia del cinema. Raramente, un’opera cinematografica ha saputo restituire un’era, un periodo storico con tale precisione e accuratezza. Capolavoro.

2003 La finestra di fronte di Ferzan Ozpetek

Forse il film migliore e più maturo di Ozpetek. Il regista di origine turca abbandona una parte delle sue tematiche per concentrarsi su una storia compiuta, carnalmente vera, drammatica e vitale. Al pubblico è piaciuto di più le Fate ignoranti, ma pur essendo film validi, cede un po’ al manierismo, al politicamente corretto. Da segnalare l’ultima straordinaria prova di Massimo Girotti, morto prima dell’uscita del film.

2004 La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana

Affresco delle lotte ideologiche dell’Italia passata dal miracolo economico agli anni di piombo. Giordana costruisce una storia credibile e molto ben interpretata. Il film, pensato inizialmente per la televisione, sfonda presso il pubblico perché mostra (in modo abbastanza autoreferenziale) il volto migliore dell’Italia, in contrapposizione alla politica corrotta e fallimentare.

2005 Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino

Sorrentino è il miglior regista italiano della sua generazione, salito agli onori del mondo grazie ad una serie di film bellissimi (Il divo e La grande bellezza su tutti). Legato in modo quasi indissolubile a Servillo (sempre impeccabile), costruisce una storia sul nulla svelandoci tanto, tantissimo. Il protagonista vive la sua ultima stagione solo nel momento in cui, in modo imprevisto, riscopre il sentimento, l’amore seppellito dopo anni di grigio tran tran.

2006 Il caimano di Nanni Moretti

Il film su Berlusconi Moretti l’aveva nel sangue fin dall’apparizione nell’agone politico del cavaliere. Inevitabile che ne tracciasse un quadro apocalittico (largamente smentito dai fatti successivi) individuando in lui il colpevole di tutti i mali italiani. Silvio Orlando è un attore eccellente che regge su di sé l’intero film. Le parti che vorrebbero essere di cronaca appaiono sempre più anacronistiche, ma i tormenti umani del protagonista sono spesso impagabili.

2007 La sconosciuta di Giuseppe Tornatore

Tornatore è forse, dal punto di vista formale, il migliore nel girare film, nel costruire storie. Sembra più un regista americano anni sessanta, che italiano. Quando non cade troppo nella tentazione di essere autore (senza capire che autore si può essere anche girando un film di genere) e si lascia andare a amenità intellettuali (talvolta terrificanti come in Malena), è bravissimo. Questo film ha i pregi e i difetti del regista: magnificamente girato in alcuni punti, difficilmente sopportabile quando ricerca “alti” contenuti. Ha battuto “Nuovomondo” di Crialese e forse non lo meritava.

2008 La ragazza del lago di Andrea Molaioli

Esordio sorprendente per Molaioli che crea un mix riuscitissimo di atmosfera e genere. Il giallo che fa da cornice alla trama, serve per tracciare un quadro umano dolente e un ritratto di provincia nel più puro stile noir. Non è solo il delitto che intriga ma la comunità montana in cui è maturato con le sue meschinità e le sue debolezze. In questo modo tutti gli attori, anche quelli delle parti più piccole, sono splendidi, orchestrati da Toni Servillo. Il successo enorme di questo film lascia ancora più sorpresi poiché Molaioli è riuscito a girare un solo altro film fino ad oggi (di un altro sta cominciando la lavorazione) mostrando tutte le difficoltà in cui si dibatte il nostro cinema, incapace di sfruttare talenti di questa portata.

2009 Gomorra di Matteo Garrone

Garrone ha sconfitto l’altro grande successo di quella stagione, Il divo di Sorrentino (magari più bello). Si sa che in Italia, forse per costume ideologico, è preferito il cinema “realistico” più che lo stile fantasioso ed immaginifico. Così è anche per quest’opera amata tantissimo dai critici e vero e proprio evento di costume. Garrone non si limita però solo alla ricostruzione del tessuto sociale in cui cresce e si fortifica la Camorra, ma ha creato anche un mondo di immagini, uno stile forte che è il valore aggiunto di tutto il film.

2010 L’uomo che verrà di Giorgio Diritti

L’eccidio di Marzabotto viene raccontato in uno stile asciutto e poetico, giocando sui volti, sui gesti e sui luoghi, più che sullo scavo psicologico dei personaggi. Diritti è un artigiano dal grande talento, capace di raccontarci in tono asciutto, senza alcuna sovrastruttura, la mostruosità della guerra, della violenza e dell’uomo. Non ci sono messaggi di speranza, non giudizi morali poiché le azioni condannano senza alcuna possibilità di perdono. La disperata ed inutile ricerca del perché domina.

2011 Noi credevamo di Mario Martone

Premio più all’idea che all’opera, un polpettone quasi indigeribile in cui il Risorgimento viene riletto alla luce del giudizio sull’Italia di oggi, con il consueto vizio storico del nostro cinema di ricercare in un momento preciso le cause della nostra endemica corruzione, dello spirito lassista e individualista del nostro popolo. Bellissima è la ricostruzione, ma tutto è troppo condizionato dall’idea portante dell’autore. Molto meglio un film disincantato come Basilicata coast to coast, ma non era abbastanza intellettuale. Il film di Martone, invece, è eccessivamente intellettuale al punto di risultare distante ed incapace di coinvolgere.

2012 Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani

Il film è stato accolto come il ritorno alla grandezza dei Taviani, autori di opere talvolta imbarazzanti dopo Kaos. Premiato al festival di Berlino con il massimo premio è un’opera profondamente verista e fortissima, interpretata solo da reali carcerati, colpevoli di reati gravissimi, che trovano nello spettacolo teatrale un momento di riscatto personale e sociale. La critica lo ha apprezzato tantissimo, il pubblico molto meno poiché risulta “sgradevole” da certi punti di vista per lo stile recitativo e per il taglio voluto dagli autori.

2013 La migliore offerta di Giuseppe Tornatore

Altro film estremamente professionale ed impeccabile dal punto di vista dell’immagine del regista siciliano. Ad un occhio attento il mistero smette di essere tale intorno al quindicesimo minuto. Da quel momento in poi bisogna vedere l’alta qualità formale della pellicola anche se la storia, insomma, comincia a slabbrarsi.

2014 Il capitale umano di Paolo Virzì

Per carità, il film è fatto bene con estrema professionalità e recitato con bravura e dedizione. Non si può parlar male di questo film, ma solo bene perché è l’espressione di un buon cinema capace di sfornare prodotti di livello e autorevolezza. Però, negare il premio alla Grande Bellezza di Sorrentino manifesta il provincialismo del nostro cinema che punisce un collega capace di affermarsi all’estero.

2015 Anime nere di Francesco Munzi

Il film è piaciuto alla critica al Festival di Venezia. Meritava il premio? Ai posteri l’ardua sentenza.

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