Clash. Nessuno è esente da colpe

Il nostro parere

Clash (2016) EGY di Mohamed Diab

Ambientato nel giugno 2013, durante le proteste di piazza seguite alla rimozione del presidente egiziano Morsi da parte dell’esercito comandato da Al Sisi, l’attuale capo di stato. In diversi momenti, nella confusione delle manifestazioni vengono arrestati e posti su una camionetta della polizia due giornalisti, un gruppo di sostenitori del colpo di stato militare ed un altro fedele al presidente deposto. In pochi metri quadrati si confrontano diversi ceti sociali, idee, ideologie, età. Dai finestrini e dalla porta aperta i prigionieri possono vedere quanto accade: un concentrato di follia e di odio che colpisce indifferentemente innocenti e colpevoli, attivisti e spettatori passivi. Sono ore di tormento ed angoscia, di violenza insensata cui i protagonisti assistono impotenti, condannati a fare da spettatori.

Il cinema non ha più la forza o la convinzione ideologia di mostrare i grandi momenti storici attraverso affreschi epocali. La situazione esplosiva del Medioriente rendo poi banale qualunque tentativo di ricostruire gli avvenimenti con un filo logico. Il rischio è di apparire piatti, parziali, superficiali. A distanza di 7 anni dall’israeliano Lebanon anche Diab sceglie di parlare di quanto accade attraverso uno spiraglio di luce. Allora Maoz ha usato la visuale di un carrista dell’esercito, ora il regista egiziano usa l’angusta porta della camionetta della polizia per farci intravedere tutta la violenza e la follia che si scatena intorno. Inoltre, crea in contrapposizione un dramma da camera in cui si confrontano le diverse fazioni, i ceti sociali stratificati, le esperienze dolorose del passato storico e personale del popolo egiziano. In questo microcosmo Diab mostra l’impossibilità di certificare ed individuare le cause, i responsabili del caos.

Film di straordinaria forza narrativa (nonostante sia tutto ambientato in pochi metri quadrati), Diab sembra arrendersi al male, alla pazzia che ha colto tutti e che trascina alla distruzione colpevoli ed innocenti, senza logica e giustizia.

La scelta della visuale limitata non vuole semplicemente dire che siamo impossibilitati a rappresentare l’intero quadro della situazione. Vuole anche duplicare l’atteggiamento dello spettatore al di là dello schermo, in un gioco di specchi che racconta come ciò che sembra esterno a noi, prima o poi ci raggiunge.

 

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