American Sniper. Un buon americano

Il nostro parere

American sniper (2015) USA di Clint Eastwood

Lo stile di Eastwood è ormai così essenziale da lasciare stupefatti. Anche quando un’opera non è complessivamente una grande opera, riesce a creare un contesto, uno sviluppo ed un ritmo narrativo ineguagliabile. Inoltre, i suoi testi sono sempre pieni di dubbi. Al contrario del suo credo politico, Eastwood rifiuta la soluzione semplicistica e tronfia del film ideologico. Per fare un paragone con John Wayne, altra star a stelle e strisce repubblicana, non cade mai nella trappola del film a tesi. Se le sue idee sono in trasparenza, altrettanto trasparentemente la messa in scena esplora le fragilità e le incongruenze di queste idee, mettendo in discussione tutto.

Così è anche il personaggio di Chris Kyle, leggendario cecchino della guerra in Iraq, che vede disintegrarsi la sua sicurezza nel corso degli anni di guerra, dove uccidere diventa uno stato mentale, combattere un’ossessione paranoica che distrugge anche il tessuto familiare su cui si poggiava. Dio, Patria e Famiglia sono i pilastri dei buoni americani, ma fino a che punto difendere la patria è giusto? Dove ci si distacca da Dio? E quando la famiglia deve scomparire di fronte alla patria?

La narrazione si dipana in diversi episodi, tra cui alcuni di un certo sapore retorico e certamente già visti in diversi film: il compagno che muore, appena prima di sposarsi, il desiderio di vendetta che li fa cadere in una trappola, la lontananza dai politicanti ecc. ecc. Ma quando Kyle deve decidere in pochi istanti se uccidere o no un bambino, il film diventa vibrante e profondo. L’occhio del regista penetra nello spettatore fino alla catartica identificazione. In quei momenti è grande cinema. In altri decisamente meno.

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