American fiction (2023) USA di Cord Jefferson
Il professore e scrittore inglese Thelonious “Monk” Ellison scrive un romanzo satirico sotto pseudonimo, con l’intento di smascherare le ipocrisie dell’industria editoriale mentre la sua famiglia va a pezzi dopo la morte improvvisa della sorella.
Un ottimo film che gioca con i già vecchi cliché anacronistici in relazione ai neri, il loro stile di vita e i presunti sogni di promozione sociale, questo è il debutto sorprendente alla regia dello sceneggiatore televisivo Cord Jefferson, che è riuscito a distinguersi con una manciata di spettacoli comici e con proposte originali quali Watchmen (2019) per la HBO. Il film di Jefferson è basato su Erasure (2001), uno dei tanti romanzi parodici e sperimentali di Percival Everett sui diversi aspetti degli Stati Uniti e qui specificamente sulla tradizione della letteratura nera, qualcosa che include sia quella prodotta dagli afroamericani in generale che quella scritta da quei bianchi che hanno anche contribuito a costruire il rozzo stereotipo del caso (pensiamo alla Capanna dello zio Tom), o al cinema mainstream come Precious (2009), film di Lee Daniels.
American Fiction unisce molto bene la satira, il melodramma, la commedia grottesca e la denuncia del Fariseismo di un mainstream culturale che nel nome del politicamente corretto cade nel clichè dimenticando, ad esempio, che vi sono anche afroamericani privilegiati. Il film, meravigliosamente sostenuto nella sceneggiatura di Jefferson e l’eccellente esecuzione dell’intero cast con uno squisito Wright in testa, va oltre l’attacco alla pornografia autoconsolatoria della sfera letteraria, musicale e cinematografica – perché la sua analisi incorpora la complicità degli stessi afro-americani – ma sa anche riflettere sull’incapacità del protagonista di uscire dalla sua presunta superiorità culturale che lo fa diventare arrogante e cieco a buona parte della realtà.
Jefferson sa però descrivere l’intellettuale bianco con la sindrome di colpa con una forza particolare, ma non disdegna di colpire personaggi come Sintara Golden, una scrittrice nera che, dopo aver scritto un patetico e ultra-stereotipato bestseller sulla comunità nera, si difende dicendo che offre ciò che il mercato chiede, così come i trafficanti di droga o l’enorme macchina capitalista in generale che condiziona / lobotomizza il suo pubblico o clientele. Jefferson completa un lavoro molto divertente che ottiene qualcosa di sensibile nell’ultimo atto quando si cimenta con la metafiction, utilizzando ancora lo stereotipo per raccontarci quanto la nostra anima sia compromessa con i luoghi comuni. Il grande lavoro di scrittura è stato premiato con l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale.