Tully – Post parto

Il nostro parere

Tully (2018) USA di Jason Reitman

Marlo ha 2 figli e uno appena nato. Ogni notte si alza per allattare il suo bambino e lo culla per farlo addormentare. Quando finalmente potrebbe ritornare a letto, si è già fatta mattina. Quando Marlo è allo stremo delle forze, incapace di prestare attenzioni alla propria famiglia, su suggerimento del fratello, assume una tata per la notte. La tata, il cui nome è Tully.

Reitman, regista dai toni sospesi, sta incupendo gradualmente le sue opere, un tempo segnate da una gradevole tensione narrativa. I suoi personaggi sono incompleti, insoddisfatti, dominati da un senso di smarrimento che non sanno come trasmettere agli altri, isole solitarie in mezzo al mondo.

E’ così anche per Marlo, prigioniera della maternità e della sua routine familiare, presa dalla nascita del terzo figlio che sembra oscurare tutto il resto della sua esistenza, dalla sessualità ormai sopita al lavoro cui ha parzialmente rinunciato. Nelle notti insonni deve fare i conti con se stessa, le proprie frustrazioni, la certezza di non aver raggiunto nessuna delle aspirazioni per cui credeva di essere nata. Lo deve fare da sola poichè, a parte Tully, nessuno la capisce, compreso il marito disponibile e amorevole, ma imborghesito e spento, capace solo di giocare alla playstation nei momenti prima del sonno. A Marlo da il volto una Theron aggraziata e convincente che ha rinunciato alla mostruosa bellezza per mostrarsi ingrassata per la gravidanza, senza trucco e glamour. La scelta coraggiosa non ha pagato come in occasione del suo Oscar in Monster, ma conferisce credibilità all’attrice che ha saputo affrontare una difficile prova con consapevolezza e vigore.

Il film appare, soprattutto nel finale, frenato, forzato per conferire un senso alla narrazione precedente, altrimenti inverosimile. In questa dicotomia sta il difetto dell’opera, la disomogeneità che fa dubitare.

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