Sin City, una donna per cui uccidere (2014) USA di Frank Miller e Robert Rodriguez
Frank Miller ha dato molto di più al disegno animato che al cinema. Aver letto i grandi autori noir non gli permette di avere anche del genio nelle sue sceneggiature che sono sempre più ripetitive.
Va bene l’aspetto innovativo dell’immagine (ma stanca dopo la quarta volta), va bene il trucco che crea volti sconcertanti ed ignobili, va bene il tentativo di portare il pulp all’interno di un genere ritenuto (falsamente) esausto, va bene persino fare finta di spiazzare il pubblico assegnando ad attori conosciuti ruoli opposti al solito cliché e all’immagine che si ha di loro: va bene tutto. Però dopo l’ennesimo polpettone sempre uguale ci si chiede se Miller non abbia già dato quanto poteva al cinema.
Affidarsi a Robert Rodríguez per la coregia non ha aiutato granchè, poiché lo stesso autore messicano non ha saputo andare oltre El Mariachi, ripetendo all’infinito le stesse identiche dinamiche.
I maestri insegnano che le scene madri devono essere poche e opportunamente piazzate nell’opera per creare il giusto climax. Miller crede, invece, che bastino cinquanta (finte) scene madri, per fare un’opera. Invece è banalità.