L’attimo fuggente di Robin Williams

Il 2014 segna la seconda terribile scomparsa per il cinema hollywoodiano. Prima Philip Seymour Hoffman, il più geniale attore della sua generazione, ora Williams, uno degli attori più amati dal pubblico. Entrambi sono morti prematuramente, entrambi lasciano il rimpianto di quello che potevano ancora essere, entrambi hanno rappresentato un modello, un mito che gli spettatori amano portare con sé, nella propria memoria.

Non c’è nulla più del cinema che fa rilevare la differenza tra l’immagine pubblica e il proprio privato: non c’è nulla come la caduta di una star del cinema per mostrare come ognuno di noi sia vittima di incubi e fantasmi che ti distruggono dentro. Robin Williams è morto tragicamente a soli 63 anni lasciando tutti increduli proprio per l’incredibile iato esistente tra la presenza frenetica sullo schermo e sul palcoscenico e la sua esistenza dilaniata, finita precocemente.

L’uomo era già stato prigioniero di altre dipendenze: l’alcool, la droga avevano segnato gli esordi ed i primi successi. La fine di uno dei suoi migliori amici, John Belushi, avevano indotto Williams a disintossicarsi, ricominciando a mietere i successi che chiunque, vedendolo assoluto protagonista in Mork e Mindy, gli avrebbe pronosticato.

E’ ancora più incredibile, poi, notare come oggi sia ricordato più per i ruoli drammatici che per quelli comici. Eppure, tutti lo avrebbero descritto come il classico comedian. Nessuno, al suo nome, avrebbe osato definirlo come un attore tragico. Insomma, era un attore a tutto tondo, capace di performance notevoli. Nei prossimi mesi usciranno ben tre film con lui protagonista. Se Una notte al museo 3 è il classico sequel, con pochissime probabilità di essere interessante, gli altri due sono l’ultima occasione per vedere il suo talento drammatico.

Il film di Dito Montiel, Boulevard, è l’0pera seconda di un regista interessantissimo e vitale. The angriest man in Brooklyn assume, invece, la forma del testamento spirituale, nonostante nessuno vi avesse dato questo significato. Tratta, infatti, di un uomo malato terminale e in una scena, inquietantemente, Williams recita la propria data di morte.

Oltre a piangerlo, noi possiamo solo fare quanto ci ha chiesto la famiglia, ovvero di ricordarlo nel suo ambiente vitale, il cinema, nel mondo in cui tutti i sogni restano immortali e la nostra fantasia mantiene vivi gli eroi. Addio professor Keating, addio Robin Williams.

10. Mork e Mindy – The crazy ones ovvero l’inizio e la fine della sua carriera. Nel primo caso Williams si è rivelato al mondo per il talento comico, per la presenza fisica, un vero mattatore. Nel secondo caso sapeva anche mettersi al servizio dei colleghi, giocando di sponda con grande sensibilità. Il primo è un prodotto ingenuo, figlio degli anni settanta, il secondo una disanima amara della propria vita. Il pubblicitario ex alcolista perennemente in rehab, capace di distruggere la propria esistenza e di rinascere, è troppo simile al suo passato.

Il brano di Mork è la sua prima apparizione televisiva, all’interno di Happy Days. Il successo del personaggio ha consentito la nascita della serie.

Williams era brillantissimo in questa sit-comedy creata dall’inventore di Ally McBeal

9. Mrs Doubtfire (1993) di Chris Columbus – I due film al nono posto sono entrambi prove d’attore maiuscole, ma un po’ viziate dal fatto che si dà spazio enorme all’istrione più che all’attore. Williams è bravissimo, ma risente dalla modestia delle due opere, costruite su un eccesso di buonismo, pensate troppo in funzione del pubblico (target famiglie evidentissimo), dell’incasso. In Mrs Doubtfire, l’attore gioca sulle due personalità contrapposte che deve interpretare, creando notevoli effetti comici. La famiglia del personaggio è fin troppo scontata, però, i bambini abbastanza insopportabili, la sceneggiatura banalotta. Perché ha avuto successo? Perché c’è lui che porta tutto in alto, dando un contributo indispensabile per offrire respiro comico al film.

Patch Adams (1998) di Tom Shadyac – Basterebbe la triste fine di Williams per evidenziare come questa sia un’operetta estremamente mielosa, costruita su una storia vera con sentimenti diversamente nobili (a meno che la notoria bramosia di Hollywood di far soldi sia solo un merito), ma non possiamo dimenticare l’ottima prova d’attore. Sono tutti buoni e dolci, a parte un paio di esseri umani sgradevoli che vengono, inutile dirlo, sconfitti dall’energia di Adams. C’è anche il discorsone strappalacrime nel finale per certificare la vittoria del sorriso sulla morte. Il regista, poi, non ha mai brillato nella sua carriera e non è certo meglio in questa occasione. Come al solito Williams si porta sulle spalle l’intera produzione che, senza di lui, svilirebbe in un insipido filmetto.

8. Hook (1991) di Steven Spielberg – Spielberg da il meglio quando riesce a sfuggire alla sua immancabile retorica e si concentra sulla poesia di un bambino, sull’ingenuità dello spettatore più giovane come lui è stato. Allora, l’incanto funziona alla perfezione. Se poi ci metti un cast composto da Dustin Hoffmann e il compianto Bob Hoskins (senza dimenticare Maggie Smith) riesci nel tuo intento. Williams, ringiovanito ed in perfetta forma per l’occasione, era l’unico che poteva incarnare Peter Pan adulto. Chi poteva essere un uomo inaridito dalla quotidianità e pochi istanti dopo un folletto impazzito senza perdere credibilità? Solo Robin Williams.

7. Il mondo secondo Garp (1982) di George Roy Hill  – Questa è una pellicola poco fortunata, girata agli inizi della sua carriera ma è uno dei ruoli più ispirati. L’interpretazione di Williams è da apprezzare perché mostra la sua versatilità toccando tutti i registri, passando con estrema naturalezza dal comico al drammatico, dalla tragedia all’impegno sociale. In particolare, questo ruolo ci mostra un attore capace di lavorare per sottrazione, come saprà fare solo per i film drammatici dei suoi anni più maturi.

6. Insomnia (2002) di Christopher Nolan – Uno dei rari personaggi negativi interpretati dall’attore. Anche in One Hour photo dello stesso anno, Williams ci mostra la follia, ma nella pellicola di Nolan è straordinario nel saper circoscrivere l’anima dannata del personaggio. Non mostra nulla, fa solo intuire il perverso abito mentale che il killer ha costruito per sopportare il male che compie. Rileggendo le sue interpretazioni oggi, dopo questo triste finale, si comprende come l’attore cogliesse dalla propria duplicità gli spunti per affrontare questi ruoli.

5. Risvegli (1990) di Penny Marshall – Il dottor Sacks di Williams è un personaggio dolente, malinconico. La sua interpretazione è struggente, anche perché si mette al servizio di De Niro con una modestia incredibile. Apparentemente è un ruolo facile, ma non lo è affatto.

4. Good Morning Vietnam (1987) di Barry Levinson – Il film che lo lancia definitivamente. Nelle intenzioni di tutti, la sua affermazione doveva legarsi al Braccio di Ferro (1980) di Robert Altman, ma il fallimento della pellicola ridimensionò per alcuni anni la sua carriera, oltre che la dipendenza da droga e alcool che dovette combattere nello stesso periodo. Anche qua, il suo talento gli permette di passare con naturalezza dal buffonesco dj al dramma bellico a tutto tondo.

3. La leggenda del Re pescatore (1991) di Terry Gilliam – In questo film, Williams è monumentale. Il ruolo del barbone Parry che, disperato, vaga alla ricerca del Santo Graal è diventato grande grazie alla sua recitazione: intensa e sofferta. Il registro di Gilliam, dissacrante e visionario, è l’habitat naturale del suo talento.

2. L’attimo fuggente (1989) di Peter Weir – Tutti ricordano il professor Keating, tutti identificano l’insegnante ideale nel personaggio rappresentato da Williams. Basterebbe solo questo per significare come l’attore sia diventato icona, leggenda.

1. Will hunting (1997) di Gus Van Sant –  Robin Williams ha dato il meglio di sé quando non era da solo ad occupare lo schermo. Quando l’attore doveva giocare di sponda con qualcuno (fossero De Niro, Pacino, Bridges, o Damon) sembrava più a suo agio, meno impegnato a istrioneggiare, a riempire lo schermo per colmare  i buchi di molte sceneggiature (vedasi come esempio opposto L’attimo fuggente). Qua, pur non essendo protagonista assoluto, è gigantesco, domina sullo schermo schiacciando Damon, peraltro ai primi passi. Lo spettatore restava con il fiato sospeso ad ammirare i passaggi di tono, le sottigliezze psicologiche, il gioco di sguardi. Non a caso, Williams ha scelto come “costume di scena” una barba ingombrante che copriva gran parte del viso, teso ad annullare nello spettatore ogni forma di riconoscimento nei personaggi precedentemente interpretati.

 

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1 Response

  1. Quello di Williams è stato proprio un attimo (s)fuggente… inutile dire che manca a tutti, non solo agli appassionati della settima arte.

     

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