Fellini, una favola moderna per bambini intelligenti

di Gianfranco Angelucci

Prendere Fellini e trasformarlo in una favola. Ma senza alcun ammiccamento retorico, proprio una fiaba per bambini, di quelle da leggere stando seduti sulla sponda del letto per accompagnarli tra le braccia di Morfeo. L’impresa è riuscita al riminese Andrea Pallucchini, 25 anni, che sul regista di Amarcord si è laureato alla Facoltà di Lettere dell’Università Cattolica di Milano.

Primo di cinque figli, la madre è maestra elementare e il papà, Riccardo, è stato il proprietario e fondatore della Libreria Riminese, oggi nelle mani del socio Mirco Di Pecci, affabile riferimento librario per la Rimini che legge e che pensa. Il papà di Andrea si congeda sfortunatamente troppo presto, il primogenito ha appena dodici anni e diventa l’ideale capo famiglia, assume su di sé questa responsabilità che lo forgia, gli impone di maturare in fretta, di studiare senza perdere tempo, e pure senza mai sottrarsi alla cura affettuosa dei fratelli minori. E adesso ha pubblicato presso “Piccola Casa Editrice” il volume intitolato “Il mio nome è Federico Fellini, un uomo grande come un bambino”. Sotto, a caratteri minimi: “Liberamente ispirato alla vita di Federico Fellini, di Andrea Pallucchini”.

Le 63 pagine si bevono d’un fiato, appena un’oretta, ma meritano da parte del lettore un indugio più vigile e riflessivo, il gusto di calarsi di nuovo nei panni di un bambino e di librarsi chissà dove sulla suggestione di una sola parola. Perché questa storia di Federico narrata all’infanzia è una finestra aperta sulla parte di noi stessi che in gran misura abbiamo impolverato e semi dimenticato. Ho conosciuto l’autore grazie all’avv. Giuliano Bonizzato, che mi ha travolto dal suo contagioso entusiasmo per i giovani. Gli sembrava esaltante farmi incontrare uno studente dal curriculum accademico non troppo dissimile dal mio; laurea in lettere moderne e tesi su Fellini, con la differenza che Andrea ha dovuto accontentarsi del fantasma del Maestro. Ma la predisposizione, vorrei dire la fatalità, presentano caratteri comuni. Sono certo che a Federico sarebbe piaciuto moltissimo Pallucchini, perché in tanta confusione e omologazione, è un ragazzo vero, un individuo che ha avuto la buona sorte di trovare il proprio ‘centro’ precocemente. Ama scrivere, si diverte a raccontare, preserva fuori e dentro di sé la sfera intatta dell’infanzia ed è determinato a continuare per la sua strada come scrittore e redattore di case editrici o di giornali.

Bonizzato, il pennellatore delle Cronache Malatestiane, gongola di intrattenibile euforia, non gli par vero che successive generazioni possano ritrovarsi con tanta intensità attraverso l’universo artistico del genio riminese, disconosciuto a Rimini ma amato in tutto il resto del mondo come il profeta di un cinema adulto che senza di lui sarebbe rimasto ancora allo stadio adolescenziale. Andrea ha gli occhi luminosi, la capigliatura riccia e folta, si esprime con chiarezza, non soffre di eccessive timidezze, e poiché ama l’ultramondo ha scoperto che Fellini, con tutti i capolavori che ha creato, è anche un prodigioso personaggio di fantasia.

La vita del regista, per chi sa guardarla in trasparenza, si offre come un sogno a occhi aperti, un capitolo delle Mille e una notte, un’invenzione di Sherazade per allontanare all’estremo limite l’appuntamento con la morte. Tutta l’arte è così, Federico può vantare il merito di avercelo dimostrato, di avercelo fatto toccare con mano. Pallucchini ha avuto la fortuna di capirlo in età così giovane e di riuscire a decifrarlo a beneficio di chi è persino più imberbe di lui, il popolo degli innocenti, assai più vasto dell’arida recinzione anagrafica. Felliniano nel cuore, Andrea ha rimpastato Fellini a suo piacimento, sapendo che con le uova e la farina si tira la sfoglia delle tagliatelle, però si prepara anche la forma di una ciambella dolce. Gli ingredienti ci sono tutti, rimescolati con onestà pur senza manie filologiche, usando l’essenziale e stando attento alla purezza del sapore. Ciò che conta.

Sorprende trovare all’interno di una narrazione dipanata capitolo dopo capitolo in tono leggero e quasi svagato, affermazioni messe in bocca con grazia allo stesso Fellini che ci impongono di fare una sosta: “Ha ragione il pittore Picasso, l’unico modo per vedere tutta quanta una persona intera è di scomporla in mille pezzi!” Imprevedibilmente siamo chiamati a riscoprire, con altre parole, la preghiera pronunciata dal regista prima di raggiungere il set del suo film d’esordio: “Caro Dio, scusa se adesso non mi ricordo il Padre Nostro, ma ti prego dammi una mano. Se mi aiuti in questo pezzo di labirinto della vita, io ti prometto che un giorno farò un film anche su di te”. E commenta subito dopo: “E’ l’unica cosa che sono riuscito a dire ma sapevo che Dio mi stava ascoltando. Credo che Lui in fondo sia sempre accanto a me, è come un compagno silenzioso che cammina al mio fianco e quando ho bisogno mi aiuta anche a portare la valigia.”

L’autore ha percepito la sottile linea d’ombra della religiosità alla base di tutti i film di Fellini, e lascia affiorare in un nitido bagliore la luminosa intuizione di “La Strada”: “Bisogna stare attenti perché in questo labirinto (della vita) c’è sempre qualcuno che ti indica la strada. Ecco, potrei farci un film sopra! Lo chiamerò proprio La strada. Sarà la storia di due viaggiatori, due girovaghi che vanno da un paese all’altro…” Infine ecco la rivelazione a sorpresa che il film su Dio sarà proprio La Dolce Vita: “Dio comparirà all’inizio del film (magari userò una statua) e non smetterà mai di dare indizi (al protagonista). E l’ultimo indizio dovrà essere simile al Matto de La strada, sarà una bambina: Paolina! Anche lei dovrà assomigliare a un angelo, magari a uno di quegli angioletti che sono dipinti sui soffitti delle chiese…”

Squarci di sole tra le nuvole, che inebriano il cuore. Il leggiadro volumetto è illustrato da Anna Formaggio, con figure allegramente infantili. Ma anche Andrea disegna, con talento, e il corredo illustrativo avrebbe potuto fornirlo egli stesso. Su questo comune retaggio felliniano si sono incontrati con l’ineffabile Gibo (Bonizzato) giurista di grazia, poeta di fatto e disegnatore per natura; c’è stata subito un’intesa segreta in nome della matita che rende visibili le idee prima della parola.

 

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