The irishman – Viaggio lungo la mafia

Il nostro parere

The irishman (2019) USA di Martin Scorsese

Frank Sheeran è un autista di camion quando incontra l’uomo del destino, Russell Bufalino, boss della mafia a Filadelfia, che vede in lui il tratto principale di un buon ufficiale: l’affidabilità. Frank si troverà ad assistere a tutti i fatti principali dell’America degli anni 60.

Ogni volta che si vede un film di Scorsese si resta un poco interdetti per la quantità di informazioni, di contenuti che ti scaraventa addosso.  I suoi fluviali racconti (è stato così per Casino e anche per Goodfellas) riescono a descrivere un mondo, un microcosmo di sentimenti e passioni, di storia e di costume con semplici notazioni, dettagli, richiami, rimandi.

Alla conclusione della visione si deve lasciar sedimentare tutto quanto si è visto, lasciar decantare un attimo le emozioni per trarre un giudizio il più possibile obiettivo. In questo caso poi bisogna superare un po’ la diffidenza generata dalla mutazione dei volti degli attori, ringiovaniti con il computer per supportare meglio il passare degli anni. Non è un caso che, infatti, si apprezzi maggiormente De Niro quando, cessati i trucchi della grafica, recita con il suo volto e la sua mimica.

Una volta effettuata questa ricognizione si parte dal fondo. Ovvero dalla fine ingloriosa di tutti i protagonisti. Ormai anziani, feriti dalla vecchiaia, invalidi, si rivelano piccoli uomini che hanno lasciato dietro di sè una scia infinita di sangue, dolore e lutti senza una reale motivazione. Ognuno di loro, in fondo, ha pensato solo ed esclusivamente a se stesso, negando ogni forma di solidarietà umana e di comprensione verso gli altri, compresi i familiari (mogli, figli) che hanno vissuto al loro fianco senza mai essere toccati da reali sentimenti.

Non c’è traccia di epica e di enfasi romantica nella descrizione di questi gangster che si muovono nella storia senza alcuna cognizione. La Storia, quella sì, resta gigantesca a dominare chiunque perchè è la rappresentazione del destino e della gamma delle passioni umane. Più che personaggi tragici, sono marionette nelle mani del tempo che spazza via tutti senza distinzioni. A sottolineare ciò, appaiono didascalie che rivelano la morte (quasi sempre violenta) dei mafiosi che appaiono di volta in volta: sterminati in una guerra per bande che svela l’umana fragilità della violenza.

Non c’è salvezza per Scorsese, nessuna speranza all’orizzonte. Di fronte alla morte c’è solo la fuga verso la religione ma non vi è possibilità di redenzione per Frank, così come non c’è per nessun altro. La morte in solitudine è ciò che lo aspetta e Peggy, allegoria del giudizio divino, non perdona.

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