Pinocchio di Guillermo Del Toro – Meraviglia in stop motion

Il nostro parere

Pinocchio di Guillermo Del Toro (2022) USA di Guillermo Del Toro e Mark Gustafson


Il desiderio di un padre porta magicamente in vita un bambino di legno in Italia, dandogli la possibilità di prendersene cura.


Il Pinocchio di Del Toro – concepito nel corso di due decenni dal regista messicano, modellato sulle illustrazioni di Gris Grimly in un’edizione del libro del 2002 – è uno spirito libero naturale. Laddove altri personaggi del film vedono un potenziale giovane italiano modello, o un biglietto per la ricchezza, o persino un figlio surrogato, Del Toro ci regala un innocente spinto dalla curiosità e dall’affetto, il cui bisogno di diventare “reale” è un desiderio d’amore assoluto. Attorno a lui, il film condensa la favola picaresca di Collodi come un viaggio attraverso i pericoli del patriarcato e del fascismo in un’Italia degli anni ’30 piena di falsi idoli e figure paterne deformate.

Tra tutte le oltre 20 versioni cinematografiche della storia di Collodi, quella di Del Toro e di Mark Gustafson, coregista, è una delle più emozionanti e originali grazie anche all’uso fantastico e stupefacente dello stop-motion. L’ambizione, le abilità all’avanguardia e un migliaio di giorni di riprese hanno prodotto un livello di animazione meravigliosamente ricco e vivace, un’incredibile interazione di luci, riprese e burattini che alza il livello per l’espressione del personaggio e dell’azione in questo stile.

La cosa sorprendente – anche se forse è un ovvio corollario – è che il passaggio alla stop-motion significa che Pinocchio non è poi così diverso dal suo creatore animato e dai suoi vicini: sono tutti la stessa materia sotto la superficie, anche se il nudo legno Pinocchio non riesce a nasconderlo. Come per la recente versione della Disney con Tom Hanks, il film di Del Toro si apre elaborando una storia in cui Geppetto (David Bradley), è sconvolto dal dolore per un vero figlio perduto (Gregory Mann, che dà anche la voce a Pinocchio), ucciso in un insensato atto di violenza alla fine della prima guerra mondiale.

Il Pinocchio originale della Disney del 1940 è nato in un mondo che scivolava nella ferocia politica e nell’orrore. La versione con effetti protesici di Del Toro (come quella di Zemeckis e Matteo Garrone del 2019) arriva in un’era di risentimento e sciovinismo riaccesi, quella in cui gli aspiranti tiranni incantano. Di fronte a tale malvagità adulta, il regista – evocando i mostri del fascismo europeo in continuità con precedenti film come La spina dorsale del diavolo (2001) e Il labirinto del fauno (2006) – capovolge il moralismo istruttivo di Collodi, in cui è il ribelle Pinocchio che ha bisogno di moderazione civilizzatrice  Solo due volte Pinocchio vede crescere il suo naso rivelatore (e non dritto ma ramificato a tutti gli angoli; deve essere abbattuto di nuovo): la prima volta in un impeto di flessione dell’immaginazione, il secondo in un momento di liberazione creativa.

Sono gli altri, gli adulti, che brutalizzano. Il Conte Volpe è un mostro di egoismo e avidità, il gerarca fascista un uomo abietto e senza cuore, il popolo alterna la codardia alla violenza, compreso il prete oscurantista e vilmente asservito al potere. E Mussolini? Beh, il Mussolini nano di Del Toro è solo un omicida. Tutti questi personaggi veleggiano tra il gotico macabro e la leggerezza da cartone animato. Non si può fare a meno di ammirare la superba maestria in ogni dettaglio dei personaggi che abitano questo regno oscuro e stravagante. Ogni ciocca di capelli sulla testa di Geppetto, le rughe nelle sue mani da artigiano stagionato o il materiale dei suoi indumenti sono singoli, minuscoli colpi di genio. Il design di Pinocchio stesso sembra elementare, con le imperfezioni organiche del vero legno, senza vestiti, e sfoggia un viso maliziosamente adorabile e un’acconciatura esplosiva. Questa potrebbe essere la rappresentazione sullo schermo più veritiera di sempre del personaggio. Nella dedizione mozzafiato di chi si occupa della scenografia, dei costumi e delle costruzioni delle scenografie, grandi e miniaturizzate, il film trova la sua anima.

Che, però, appartiene totalmente al mondo magico di Del Toro, al suo immaginario, al suo mondo poetico. Le tematiche, l’attenzione al diverso, la visione pessimista, la necessità di una famiglia è sempre uguale in ogni sua opera, in ogni momento. Soprattutto, il film trasuda tutta la gioia che predica, dando vita al suo mondo, per poi abbracciarlo, in tutta la sua meraviglia che ha conquistato un meritatissimo Oscar.

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