Panico nello stadio – Violenza insensata

Il nostro parere

Panico nello stadio (1976) USA di Larry Peerce

Presso il Memorial Coliseum di Los Angeles si sta per giocare un’attesissima finale di football americano in una grandiosa cornice di folla. Il servizio d’ordine però individua sulla torre più alta dello stadio un uomo armato di fucile.

Una serie di storie che si intrecciano durante una partita ed un misterioso sicario che si aggira su una torre. Il film di Peerce è una potente metafora dell’America degli anni ’70 dove sotterraneamente covavano i germi del caos. Non a caso la violenza quando esplode è del tutto incontrollata e insensata. Non vediamo, infatti, mai chiaramente il volto del killer, non sappiamo chi è, non c’è alcun aggancio alla sua vita, alle motivazioni del suo comportamento.

Le nostre vite si agitano in mezzo a tante altre: programmiamo, speriamo, amiamo convinti di poter controllare il destino. Invece, il futuro incombe su di noi e sulle speranze che nutriamo.

Peerce, autore di un paio di pregevoli opere tra cui questa e poi scomparso dai radar, mette in scena una giornata di ordinaria follia costruendo gradualmente la tensione. Stupisce lo spettatore con momenti di grande angoscia, rinunciando all’azione pura per la rappresentazione cruda della violenza. Il cadavere del poliziotto che dondola vanamente, il finale potentissimo sono di alto livello, in un film ingiustamente dimenticato che, invece, svetta tra i migliori di quegli anni.

Il film si disinteressa totalmente delle ragioni dietro l’azione del killer, necessario solo come agente di violenza, e si concentra sulle vittime selezionate, senza saperlo, dal mirino. Neppure noi sappiamo chi sarà effettivamente colpito, possiamo solo essere intrattenuti dalla loro vita, temendo che stia per finire e innescando un inquietante processo empatico.

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