La canzone della vita Danny Collins. Vetrina per istrione

Il nostro parere

La canzone della vita. Danny Collins (2015) USA regia di Dan Fogelman

Al Pacino non deve più dimostrare nulla. Può permettersi di fare anche opere di basso livello solo perché gli consentono di mostrare come sa destreggiarsi in tutti i registri interpretativi. Può permettersi di gigioneggiare nel ruolo di un cantante di grande successo, ormai vecchio, dedito ad ogni tipo di vizio che si rende conto, grazie alla lettera di John Lennon ricevuta dopo 40 anni per un errore.

La lettera gli apre gli occhi sulla banalità delle sue canzoni, sul sacrificio imposto ai suoi affetti (tra cui un figlio che non ha mai conosciuto), sulla vuotezza di tutti i suoi rapporti tranne che con il manager Christopher Plummer, della mancanza di un amore vero, reale come potrebbe essere quello con Annette Benning.

Al Pacino ammazza anche il film, totalmente concentrato su di lui, sulle mossette, le smorfie, le battute. Ogni personaggio laterale, ogni momento è al suo servizio ma perde di senso e forza, resta inanimato.

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