Virgin mountain. La solitudine

Il nostro parere

Virgin mountain (2017) ISL di Dagur Kari

Fusi è un gigante solitario, estremamente obeso. Vive con la madre ed il compagno di lei senza praticamente amici, isolato sul lavoro dove è oggetto di scherzi e senza un’ombra di affetto al di fuori della famiglia. Ormai rassegnato alla sua condizione, non vuole più aprirsi al mondo fino a quando è costretto ad andare ad un corso di ballo. Lì conosce una ragazza e tutto cambia.

Il cinema nordico è sempre pieno di sorprese, anche se Dagur Kari non è una sorpresa per chi ha visto, alcuni anni fa, Noi albinoi. Qui, come allora, al centro della storia vi è il paesaggio islandese, con il suo clima, la sua marginalità rispetto al mondo. Fusi vi vive dentro con comodità, allontanando la sua condizione umana da ogni sentimento, un’evasione dalla sofferenza congegnata grazie alla ricostruzione delle battaglie della seconda guerra mondiale. I soldatini in miniatura, i piccoli carri armati consentono all’uomo di dimenticare quello che è.

L’incontro con Sjofn distrugge ogni difesa, abbatte le barriere della sua indifferenza, gli permette di vedere quello che c’è “fuori”. Lui che non è mai uscito dall’Islanda decide di andare in vacanza nelle località calde. Lui che non ha mai voluto abbandonare la madre (tagliare il cordone ombelicale che l’ha sempre trattenuto) decide di vivere da solo. Lui si libera così dall’involucro esterno che lo ha appesantito non solo fisicamente ma soprattutto psicologicamente.

Il cinema di Kari trattiene l’emozione e si mostra attraverso piccoli gesti che interrompono la monotonia, il silenzio, l’inattività. E’ un cinema compassato, ma pieno di qualità dove gli attori si esprimono con pacata ragionevolezza, con forza trattenuta. Il suo è un cinema di riflessione ma di grande intensità interiore.

 

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