Un altro mondo – La legge del mercato

Il nostro parere

Un altro mondo (2021) FRA di Stephan Brizè

Il matrimonio di Philippe è irrimediabilmente danneggiato dalle pressioni del lavoro. Dirigente di successo in un conglomerato industriale, l’uomo non sa più come rispondere alle richieste contraddittorie dei suoi capi.

Brizè conclude la sua trilogia sul lavoro – iniziata nel 2015 con La legge del mercato e In Guerra (2018) – raccontando il caos prodotto sugli esseri umani dall’azione di un capitalismo rapace e insensibile.

Dopo averci mostrato il ritratto felice di una famiglia ideale attraverso una carrellata in una casa, il regista ci porta subito al confronto tra avvocati per il divorzio, rivelando la profonda frattura tra i due e l’oscuramento dell’apparente pace familiare.  Una vita “all’inferno” confessa in lacrime la moglie davanti a un marito sbalordito da questa rivelazione, di cui non riesce a capire la veridicità di questo sentimento, essendo concentrato sul valore materialistico e sulla solidità finanziaria della loro coppia.

Questa “rivelazione” scuote profondamente l’uomo che si trova costretto a rivedere la propria esistenza mentre l’azienda deve essere “ristrutturata” per avere più profitti. Il che si traduce in licenziamenti.

Ancora una volta molto documentato e co-sceneggiato con il fedele Olivier Gorce, il film prende la strada della finzione per includere il romanticismo intimo al centro della narrazione, sempre con un tocco documentaristico. Brizè ritrae, con struggente potenza emotiva, la distruzione della famiglia (divorzio, conseguenze psichiatriche sul figlio) componendola con le umiliazioni quotidiane percepite da tutti i dipendenti.

Ma il regista non sceglie una visione manichea della lotta di classe preferendo mostrare la devastante influenza su tutti i personaggi, a qualunque livello essi si trovino nella gerarchia sociale. La fluida messa in scena evidenzia gli ingranaggi che schiacciano gli esseri umani sotto il giogo della redditività economica “guidata da Wall Street”, che rende i dipendenti semplici numeri da estromettere da un organigramma. La brutalità di questa realtà è accentuata per mezzo di un montaggio brusco con molte ellissi, in cui si alternano complessi tormenti familiari e le domande del dirigente aziendale sotto le ingiunzioni e le continue pressioni da tutte le parti.

L’autore esprime il dramma umano invitandoci a ritrovare il senso dell’esistenza e lo fa con un linguaggio crudo ed espressivo, aiutato dal suo attore feticcio Vincent Lindon in stato di grazia.

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