The post – E’ la stampa bellezza

Il nostro parere

The post (2017) USA di Steven Spielberg

Nel 1971, l’editrice del Washington Post Katharine Graham e il redattore Ben Bradlee rischiano le proprie carriere e la libertà rendendo pubbliche le malefatte dei governi retti da quattro presidenti degli Stati Uniti.

C’è stato un pre-Watergate che ha permesso lo stesso Watergate. Se in Tutti gli uomini del presidente si narra dell’inchiesta giornalistica che ha portato alle dimissioni di Nixon, negli anni precedenti vi è stata una lotta sotterranea e coraggiosa per salvare l’indipendenza dei media rispetto alla politica, iniziato con il caso dei Pentagon papers. I Pentagon papers erano dei documenti, svelati grazie ad un insider, che raccontavano come la guerra in Vietnam fosse stata un’inutile strage. Fin dal primo momento, analisti ed esperti avevano detto che sarebbe stata persa, ma tutti i presidenti, da Kennedy in poi, avevano voluto portarla avanti solo per propaganda.

Non vi è dubbio, però, che nella ricostruzione storica, vi è un chiaro riferimento (e avvertimento) ai giorni nostri, alla presidenza Trump e alla moda populista di attaccare la stampa e le idee avverse alla presidenza. Spielberg non si limita solo a questo, ma traccia un identikit del potere che è astiosamente maschilista, incredibilmente aggrappato a luoghi comuni. Il potere che è rappresentato attraverso la finestra, sempre di spalle: un Nixon che trama nell’ombra, svelato solo dalla registrazione della sua voce (sono registrazioni vere, originali!) contro la libertà delle persone. Non si celano le responsabilità (anche del totem Kennedy), ma non si sceglie la strada del populismo becero e superficiale che domina oggi.

Quello che il regista fa, grazie ad una sceneggiatura invidiabile e sapiente, è lanciare il suo personale appello, vigoroso e tonante, perchè la verità trionfi, contro una politica arrogante e stupida che lavora per slogan e proclami. Ben Bradlee, il direttore del giornale, crede invece nell’analisi e nei principi, nel racconto particolareggiato della verità basata su fatti ed evidenze. Una verità che deve trionfare anche se tutto sembra contrario, anche se si rischia del proprio. Il nemico è l’ingiustizia e la menzogna, distinguendo le responsabilità. Ben era amico di Kennedy, ma non nasconde le sue colpe. Al contempo, distingue tra le “colpe” politiche e la difesa della libertà. Non si deve fare sconti a nessuno, ma diversi sono i comportamenti e le reazioni. Al giornalista presta il volto Tom Hanks con una interpretazione di assoluto spessore. Altrettanto maiuscola (ma sono due mostri sacri, potevamo aspettarci qualcosa di diverso?) è Meryl Streep che incarna l’altra linea di pensiero che emerge dall’opera.

A fianco del ragionamento profondo sulla libertà della stampa, emerge anche un cotè femminista che condanna parimenti la diseguaglianza tra uomo e donna. Al di là della forzatura narrativa nella ricostruzione degli eventi (la Graham ha perso il marito ben 8 anni prima degli eventi narrati non, come si suggerisce nel film, da poco tempo), Spielberg vuole dirci che finchè non vi sarà giustizia a tutti i livelli, finchè si accetteranno pregiudizi di qualsiasi sorta, sarà impossibile arrivare ad una società giusta.

Asciutto, geometrico ed essenziale, The post è un esempio di grande cinema dove al ritmo, alla costruzione narrativa e ai contenuti si unisce il meglio del senso del cinema: l’emozione.

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