Signore e signori. Borghesia caustica

Il nostro parere

Signore e signori (1966) ITA di Pietro Germi

In una cittadina veneta si svolgono tre vicende con protagonisti un gruppo di borghesi mediamente ricchi e decisamente ipocriti e falsi: un medico prende in giro un suo amico impotente, prima di scoprire che era un imbroglio per entrare nel letto della sua giovane moglie; un mite impiegato di banca si innamora, ricambiato, di una cassiera, ma la moglie ed il perbenismo distruggeranno l’uomo e l’unione con la ragazza; il gruppo di perdigiorno si approfitta di una sciocca minorenne per pochi soldi e quando finiscono in tribunale, corrompono tutto e tutti per uscirne puliti. La piazza della cittadina li vedrà in chiusura allegri e felici, mentre sotto progettano tradimenti e truffe agli altri.

Germi ha usato la soda caustica per ritrarre i vitelloni, ormai invecchiati e orribilmente imborghesiti, della provincia veneta: quella del boom, dell’arricchimento facile, quella del moralismo bigotto e retrivo che usa le gonnelle dei preti per le peggiori cose, quella del piccolo mondo dove tutto è controllato, schiacciato sotto il peso della sfrontata ricchezza, dell’esibizione della corruzione e della depravazione. I personaggi ritratti da Germi sono orribili maschere che seguono la logica oppressiva del branco, pronti a sbranare gli indifesi, chi si attarda. Non c’è alcuna pietà nei loro comportamenti, ma solo la brutale consapevolezza di essere intoccabili, potenti.

Questa società oscenamente prona al dio denaro è l’ennesimo ritratto della decadenza dell’Italia che si incamminava rapidamente al ’68, alla stagione del terrorismo e dell’austherity. Lo sguardo del regista  si sposta dal sud dei precedenti film (Divorzio all’italiana, Sedotta e abbandonata) al nord, ma non cambia la sua visione disperata di una nazione che sprofonda nell’abiezione, felice naufraga della propria degradazione. La macchina da presa, lucida e cinica, segue i personaggi con fredda precisione, raffigurandoli come marionette impazzite. La sceneggiatura, firmata da Age e Scarpelli, Vincenzoni, lo stesso Germi ed il non accreditato Ennio Flaiano, è ritmata e chirurgica. Gran premio al festival di Cannes, rappresenta uno degli apici dell’opera registica di Germi.

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