Room. Prigionieri per sempre?

Il nostro parere

Room (2015) CAN di Lenny Abrahamson

Jack e Ma’ vivono prigionieri in una stanza, segregati dal rapitore di Ma’ che l’ha sequestrata e violentata quando era bambina. Jack ha 5 anni ed è costretto a stare in un armadio quando il mostro fa visita alla mamma. Ma’ riesce a far scappare Jack che, una volta avvisata la polizia, la salva. Tornare al mondo dopo anni di prigionia, però, è molto difficile. Il mondo esterno fa paura e non capisce.

Intensissimo dramma che si è ispirato ad agghiaccianti fatti reali. Il ruolo di Ma’ ha permesso a Brie Larson di conquistare l’Oscar come miglior attrice per una parte basata tutta sull’introflessione del dramma, del dolore.

Il regista irlandese divide il film in due sezioni utilizzando sempre lo sguardo del bambino per ossservare la realtà. Nella prima parte i due vivono in una piccola stanza ed il lavoro del regista è di indagare sul loro stato d’animo, mostrando una realtà orribile che si traveste da quotidianità in un bambino che non conosce altro che quello. La seconda parte, intervallata dalla liberazione e da qualche scena nell’ospedale, si concentra sulla casa della nonna dove Ma’ e Jack devono imparare a liberarsi dalla prigione mentale che li possiede ancora. Ritornare alla vita è difficilissimo, sembra di nascere ancora ma con il peso sulle spalle di qualcosa di indicibile.

La madre è colei che soffre di più, tormentata dai sensi di colpa, dai rimorsi e dal peso di un’esistenza spezzata dalla brutalità di un uomo. Abrahamson non cede mai al morboso, resta sulla soglia del dolore ma non ne nasconde la profondità seguendo gli avvenimenti ad altezza bambino, dandogli una patina di fiabesco che protegge mentalmente le vittime.

Discreto nel suo sviluppo, riuscito nella scrittura, il film mostra pause e rallentamenti pur riuscendo nell’obbiettivo di colpire nel cuore.

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