Registi morti nel 2016

Abbiamo parlato già in altri post della scomparsa di Kiarostami, Cimino ed Ettore Scola. Ci permettiamo, perciò, di non citarli ancora in questa triste lista che ricorda altri personaggi che meritano di essere menzionati.

10. Tonino Valerii (1934-2016) Assistente di Sergio Leone passa alla regia con Per il gusto di uccidere. L’anno seguente si dedica alla trasposizione sul grande schermo del romanzo di Ron Barker che diventerà I giorni dell’ira con protagoniste due star dello spaghetti-western quali Giuliano Gemma e Lee Van Cleef. Il film di Valerii si presenta psicologico e violento: inoltre è rimasta celebre del film la colonna sonora realizzata da Riz Ortolani, recentemente utilizzata anche in Kill Bill da Quentin Tarantino. Nel 1973 dirige Terence Hill ed Henry Fonda in Il mio nome è Nessuno, film nato da un’idea di Sergio Leone. La pellicola fu un grandissimo successo di pubblico. Nel 1986 dirige Senza scrupoli, film erotico. Negli ultimi anni Valerii si è occupato soprattutto di sceneggiati TV e altri prodotti per la RAI.

e Giuseppe Ferrara (1932-2016) Durante la sua lunga carriera, iniziata nel 1969 con il film Il sasso in bocca, docu-film di denuncia sulla mafia siciliana, si è dedicato al cinema d’impegno civile, ricostruendo la storia italiana recente e indagando i misteri che la avvolgono. Ha lavorato sia per il piccolo che per il grande schermo, oltre ad aver girato numerosi documentari. In Faccia da spia (1975), ha indagato sull’ingerenza americana sugli avvenimenti degli ultimi cinquant’anni, e in Cento giorni a Palermo (1984), si è occupato dell’assassinio del generale Dalla Chiesa, tornando a parlare di mafia. Due anni più tardi è uscito uno dei suoi film più noti Il caso Moro. Vanno inoltre citate le pellicole Giovanni Falcone (1993) e I banchieri di Dio – Il caso Calvi (2002).

9. Arthur Hiller (1923-2016) Ha iniziato come regista di serie televisive e dal 1957 al 2006 ha diretto più di trenta film per il grande schermo, passando dal dramma alla commedia, al musical. Tra questi: Appartamento al Plaza (1971), Wagons-lits con omicidi (1976), Una strana coppia di suoceri (1979), Non guardarmi: non ti sento (1989), The Babe – La leggenda (1992), Pucked (2006). Il suo più grande successo è stato il film culto del 1970 Love Story, per cui ha ricevuto la nomination agli Oscar come miglior regista. Dal 1993 al 1997 è stato presidente dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences.

8. Hector Babenco (1946-2016) Nato da padre argentino e da madre polacca, in qualità di autore dal taglio particolarmente forte e drammatico, ha trovato all’estero i mezzi per esprimersi al meglio. In Brasile, nel 1980, ha realizzato Pixote – La legge del più debole. È giunto al successo internazionale con Il bacio della donna ragno (1984), tratto dal romanzo di Puig. Trasferitosi negli Stati Uniti, ha girato Ironweed (1987), storia di emarginati in una grande città statunitense. Del 1991 è Giocando nei campi del Signore, un dramma ecologista ambientato nella giungla amazzonica. È stato poi in concorso a Cannes con Cuore illuminato (1998) e Carandiru (2003) e alla Festa del Cinema di Roma con Il passato (2007). Nel 2015 è tornato dietro alla macchina da presa con Il mio amico Hindu, nel quale si narrano le vicissitudini di un regista malato terminale che cerca di realizzare il suo ultimo film.

7. Alan Rickman (1946-2016) Dopo gli studi presso la Royal Academy of Dramatic Art (dove si è specializzato nella recitazione di W. Shakespeare), ha lavorato a lungo nelle più prestigiose compagnie teatrali inglesi (Manchester Library Theatre Company, Royal Shakespeare Company). Grazie all’interpretazione del visconte di Valmont nella versione teatrale di Le relazioni pericolose (tratto dall’omonimo romanzo di P. C. de Laclos), nel 1986 ha ottenuto una nomination ai Tony Award e l’ingaggio per il suo primo film, Die hard (Trappola di cristallo, 1988). È noto per aver incarnato più volte personaggi oscuri e malvagi, tra i quali si ricordano H. Gruber (Die hard), lo sceriffo di Nottingham (Robin Hood: prince of thieves, 1991) e S. Piton (Harry Potter, 2001-02-03-05-07-09-10-11). Nel corso della carriera ha saputo spaziare tra diversi generi cinematografici, dal fantastico (Truly, madly, deeply, 1991) alla commedia (Love actually, 2003) sino a giungere al musical horror (Sweeney Todd, 2007) e al dramma (The Butler, 2013). Regista di The winter guest (1997), nel 2010 si è cimentato nel doppiaggio del Brucaliffo in Alice in Wonderland (tratto dal romanzo di L. Carroll), mentre nel 2014 ha diretto e interpretato la pellicola A little chaos (Le regole del caos, 2015) e ha recitato in A promise; è del 2015 la sua ultima interpretazione nel film Eye in the sky (Il diritto di uccidere, 2016).

6. Garry Marshall (1934-2016) Dopo la laurea in giornalismo, si è affermato come sceneggiatore e produttore negli anni Settanta ideando serie televisive di culto come Happy Days (1974), Laverne & Shirley (1976) e Mork & Mindy (1978). Indiscusso scopritore di talenti, ha raggiunto fama internazionale come regista cinematografico di commedie sentimentali quali, tra l’altro, Pretty Woman (1990), Paura d’amare (1991), Se scappi, ti sposo (1999), Pretty Princess (2001), Appuntamento con l’amore (2010), Capodanno a New York (2011), Mother’s Day (2016).

5. Alexandre Astruc (1923-2016) Considerato un antesignano della Nouvelle vague, la sua concezione del cinema è sintetizzata nell’articolo Naissance d’une nouvelle avant-garde: la caméra stylo (1948). Tra i film sono da ricordare Una vita. Il dramma di una sposa (1958), L’éducation sentimentale (1962), La battaglia del Mediterraneo (1968). Dopo aver svolto intensa attività critica, è passato alla regia, ottenendo un notevole successo con Le rideau cramoisi (1953), cui sono seguite le opere già elencate, caratterizzate egualmente da una attenta elaborazione formale, per più aspetti affini ai prodotti della nouvelle vague. Significativa la sua idea della caméra-stylo (macchina da presa – stilografica) proposta nel 1948, in funzione di un cinema immediato e di basso costo. Nel 1993 ha partecipato al documentario Frančois Truffaut; portraits volés. È anche autore di numerosi sceneggiati per la televisione.

4. Curtis Hanson (1945-2016) Ha iniziato a dirigere e sceneggiare nei primi anni Settanta, ma solo nel 1992 ha avuto il primo successo con The hand that rocks the cradle (La mano sulla culla), confermato nel 1994 da The River Wild (The River Wild – Il fiume della paura). La consacrazione definitiva è arrivata con L.A. Confidential nel 1997, con cui ha vinto il premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. Tra i film successivi si ricordano: Wonder Boys (2000), 8 Mile (2002), In Her Shoes (In Her Shoes – Se fossi lei, 2005), Lucky you (Le regole del gioco, 2007).

3. Andrzej Zulawski (1940-2016) Dopo studi di cinema in Francia, fu assistente di A. Wajda, critico e sceneggiatore; esordì con Trzecia cześć nocy (La terza parte della notte, 1971), cui seguì Diabel (Il diavolo, 1972), segnati da una cupa e violenta carica espressiva. Ostacolato dalla censura, si trasferì in Francia, dove ha realizzato un cinema deliberatamente provocatorio, caratterizzato da un nevrotico vitalismo e da un’accentuata sensualità. Tra i suoi film si ricordano: Possession (1981); La femme publique (1984); L’amour braque (Amour braque. Amore balordo, 1985); Mes nuits sont plus belles que vos jours (1989); La note bleu (1991); Szamanka (1996); La fidélité (2000); Cosmos (2015). Nel 2003 è comparso come attore nella serie televisiva Les liaisons dangereuses.

2. Andrej Wajda (1926-2016) Ha trattato temi della storia recente e della vita contemporanea polacca con alte qualità espressive e autentica tensione morale. Tra i film: Pokolenie (“Una generazione”, 1954); Kanal (I dannati di Varsavia, 1957); Popioł i diament (Ceneri e diamanti, 1958); Lotna (1959); Niewinni czarodzieje (Ingenui perversi, 1960); Sibirska Ledy Makbet (“Una lady Macbeth siberiana”, 1961, realizzato in Iugoslavia); Połowanie na muchy (Caccia alle mosche, 1969); Krajobraz po bitwie (Paesaggio dopo la battaglia, 1970); Brzezina (Bosco di betulle, 1970); Wesele (Nozze, 1971); Człowick z marmuru (L’uomo di marmo, 1977); Dyrygent (Il direttore d’orchestra, 1980); Danton (1982); Schuld und Sühne (1987); Pierscionek z orlem w koronie (“L’anello con l’aquila coronata”, 1992); Nastazja (1994); Wielki tydzień (“La settimana santa”, 1995); Panna Nikt (“La signora nessuno”, 1996); Pan Tadeusz (1999), ispirato all’omonimo poema di A. Mickiewicz (1834); Zemsta (“La vendetta”, 2002); Katyń (2007); Tatarak (2009); i documentari Krec! Jak kochasz, to krec! (2010); Walesa (2013; Powidoki (Immagini residue, 2016). Tra i riconoscimenti ricevuti: il Praemium Imperiale (1996), il Leone d’oro alla carriera (1998), l’Oscar onorario (2000) e l’Orso d’oro (2006).

1. Jacques Rivette (1928-2016) Critico e redattore capo (1963-65) dei Cahiers du cinéma, esordì nel lungometraggio con Paris nous appartient (1958-60), cui fece seguito Suzanne Simonin, la religieuse de Diderot (1966). Fautore intransigente del cinema d’autore, ha realizzato in seguito una decina di film, per lo più di eccezionale lunghezza, notevoli per la spoglia eleganza delle immagini, per le continue trasgressioni linguistiche e per la finezza della tematica, spesso imperniata sulla riflessione esistenziale e sui rapporti tra vita e teatro, realtà e finzione artistica, realtà e sogno: L’amour fou (1969); Out one: noli me tangere (1971); Céline et Julie vont en bateau (1974); L’amour par terre (1984); La bande des quatre (1989); La belle noiseuse (1991); Jeanne la Pucelle: les batailles e Jeanne la Pucelle: le prisons (Giovanna d’Arco parte I e parte II, 1993). Ha diretto inoltre: Secret défense (1998); Va savoir (Chi lo sa?, 2001); Histoire de Marie et Julien (2003); Ne touchez pas la hache (2007); 36 vues du Pie Saint Loup (2009), di cui è stato anche sceneggiatore.

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