Papillon – Fuga dall’inferno

Il nostro parere

Papillon (2017) USA di Michael Noer

L’epica avventura di Henri Charrière, detto Papillon nella nuova trasposizione del libro, dopo quella leggendaria con Steve McQueen e Dustin Hoffman. Condannato alla detenzione a vita nella famigerata colonia penale dell’Isola del Diavolo, l’uomo tenta la fuga alleandosi con il contraffattore Louis Dega.

La new wave danese lambisce nuovamente Hollywood con la coraggiosa trasposizione del romanzo di Charriere per opera di un giovane regista di 40 anni. Noer si confronta con un totem che presentava due attori straordinari ed un autore come Shaffner. Noer parte però con un handicap. I due protagonisti sono scelti come una decalcomania rispetto agli illustri predecessori. Hunnam, in particolare, ha troppo del McQueen per non generare un’aspettativa che va inevitabilmente delusa. Malek, ancora lontano dall’Oscar, non riesce a restituire la resa incondizionata e disperata di Dega.

La cosa è frutto di una sceneggiatura che punta sul classico genere carcerario, ma senza apportare alcuna variazione rispetto all’impostazione del film degli anni 70. Questo crea un deja vu, un che di datato alla narrazione che si limita ad osservare i protagonisti senza mai entrare a fondo nella disperazione, nella crudezza della condizione dei carcerati rappresentata per episodi e mai per una sensazione di oppressione. La prigione de l’Isola del Diavolo dovrebbe essere una specie di girone dantesco, ma dopo lo sguardo iniziale, la regia passa subito ai tentativi di fuga.

Papillon inneggiava ad un cinema “sporco”, disperato in cui all’ambiente lussureggiante e famelico, si contrapponeva la laida desolazione del carcere, della violenza gratuita, dell’ingiustizia crudele. I diversi tentativi di fuga di Charriere vengono ridotti, sminuiti nella loro fatica e nella loro essenza. La natura matrigna è troppo da villaggio turistico, il sistema carcerario francese sembra un luogo di sadici invece di essere un potente ingranaggio burocratico che schiaccia gli essere umani.

Così il passare del tempo viene affidato al trucco di Hunnam che porta Henry a Parigi, trenta anni dopo, per pubblicare il suo romanzo di memorie. Noer si limita a descrivere con buona visione, ma scarso intuito, depotenziando una vicenda che poteva essere altrimenti rappresentata.

 

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