Notti magiche – Cinema sogno lontano

Il nostro parere

Notti magiche (2018) ITA di Paolo Virzì

Durante la notte in cui l’Italia viene eliminata dal campionato mondiale di calcio ‘Italia ’90’, viene rinvenuto nel Tevere il cadavere di un famoso produttore cinematografico. Le indagini puntano su tre giovani sceneggiatori.

Dopo la parentesi americana, Virzì ha deciso di tornare alla commedia di costume puntando la propria attenzione sul cinema, o meglio sul metacinema, delle sue origini. Proprio in quel periodo era un giovane di belle speranze, esattamente come i tre protagonisti, che collaborava con autori di spessore, cercando di prendere da loro il mestiere, l’arte della scrittura, esperienza condivisa con la sceneggiatrice Francesca Archibugi.

Tra una citazione e l’altra, in un gioco di rappresentazioni speculari per cui l’aspetto dei tre ragazzi richiama Virzì, Archibugi e l’altro sceneggiatore Piccolo, il regista vuole omaggiare la commedia all’italiana ed un periodo della sua vita quando alla scuola di Scalpelli imparava il mestiere.

Molto di quanto si vede, esagerato senza dubbio e ricostruito (come la ripresa finale de La voce della Luna di Fellini che sembra a sua volta omaggiare C’eravamo tanto amati di Scola), gioca con la memoria e i nomi. Nel gioco degli specchi vediamo in filigrana le figure di Scalpelli, Benvenuti, Suso Cecchi D’Amico, Antonioni (interpretato dal grande Arlecchino Soleri) e forse di Cecchi Gori (è lui l’ispirazione di Saponaro?), grandi vecchi del cinema che non hanno lasciato eredi diretti ma hanno trascinato le loro carriere divorando i propri figli.


Le citazioni metacinematografiche sono la parte curiosa, vorace dell’opera di Virzì che ingolosisce e attrae, ma l’artificiosità della trama e la schematica costruzione dei protagonisti, archetipi anche troppo semplici, mostra una stanchezza di fondo nella costruzione dell’intreccio che penalizza l’acuto sguardo su un momento del nostro cinema.

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