Manhattan. Rapsodia in New York

Il nostro parere

Manhattan (1980) USA di Woody Allen

Isaac Davis è un autore televisivo di 42 anni che abita a Manhattan. Ha appena divorziato dalla sua seconda moglie, Jill, che l’ha lasciato per un’altra donna, e  frequenta una ragazza di 17 anni, Tracy. Il suo migliore amico, Yale, sta attraversando un periodo difficile perché, pur essendo sposato con Emily, la tradisce con Mary. Dopo essersi licenziato, Isaac incontra Mary, che ha rotto con Yale, e se ne innamora chiudendo il rapporto con Tracy. Quando Mary ritorna con Yale, Isaac capisce quanto Tracy fosse importante per lui.

La trama del film, così riassunta, è incredibilmente esile e vaga. Invece, siamo di fronte ad un atto d’amore straordinario per una città, fotografata in modo indimenticabile da Gordon Willis, e ad una summa filosofica sul rapporto tra uomo e donna. Concepito in una sorta di ronde ophulsiana, Isaac si lascia e viene lasciato in mezzo ad una girandola di battute e di riflessioni sociologiche, come sempre trattandosi di Allen. La lievità della trattazione ingigantisce ancora di più il film, perchè il regista ha compiuto un’impresa nel creare un sottilissimo equilibrio tra il dramma sentimentale e la commedia, tra lo studio dei sentimenti e le fragilità umane.

La musica di Gershwin conquista il cuore fin dai primi minuti del film. Dopo ammiriamo l’uso del piano sequenza con lenti carrelli all’indietro quando Allen segue i suoi personaggi negli interni, e adoriamo l’abitudine di tagliarli dall’inquadratura, lasciandoli dialogare fuori dall’immagine, con un riferimento alla filmica godardiana (ad esempio il viaggio in taxi con la grandissima battuta: “Sei così bella che stento a tenere gli occhi sul tassametro!”).  Manhattan è un timbro immortale, un’opera che resterà a simbolo di New York.

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