Lei mi parla ancora – Il ricordo che si lascia

Il nostro parere

Lei mi parla ancora (2021) ITA di Pupi Avati

Alla morte dell’amata moglie Caterina, Nino racconta la propria vita a Amicangelo, un aspirante romanziere. Tra i due uomini si sviluppa un rapporto sempre più profondo che diventa un’amicizia sincera.

A due anni di distanza dall’horror padano Il signor diavolo, divagazione riuscita solo parzialmente, Avati ritorna ai temi più vicini a lui che ha, mano a mano, approfondito con il passare degli anni, con il transito verso l’ultima fase della vita dove si fanno bilanci e dove si deve fronteggiare quotidianamente la morte ed il senso che essa darà alla propria vita.

Il memoir di Giuseppe Sgarbi, padre di Vittorio e della scrittrice Elisabetta, appartiene quindi perfettamente all’universo avatiano poichè anch’esso affonda nello stesso milieu culturale (Bologna per Avati, Ferrara per Sgarbi) e segue quasi parallelamente la vita del regista. Da questa vicenda, Avati trae ispirazione per raffigurare forse se stesso in una proiezione ideale della propria vita di coppia, legato com’è alla moglie da quasi 57 anni.

La casa di Ro Ferrarese con la sua pletorica collezione d’arte crea un ulteriore effetto fascinatorio. Il ghost writer che si muove tra busti, quadri, ritratti, respira un’intera vita e noi con lui ci sentiamo immersi nei sentimenti familiari che hanno costruito quell’universo. Infatti, quelle sono le parti migliori mentre la vicenda romana riferita allo scrittore fallito, ai suoi rapporti familiari frammentari suona un po’ stonata. L’idea di offrire uno strumento di paragone antipodico all’amore di Giuseppe e Rina è assai semplificatorio, per quanto efficace.

L’interpretazione di Renato Pozzetto è davvero maiuscola. Come al solito, l’attore comico che si dà al tragico riesce ad esprimersi totalmente, lasciandosi andare ad un processo di identificazione commovente. Anche Pozzetto, infatti, ha perduto la moglie dopo un lunghissimo matrimonio e non può non avvertire una forte empatia con il personaggio di Giuseppe. Con un’interpretazione misurata, adesiva al contorno artistico che lo avvolgeva, Pozzetto diventa tutt’uno con la casa e con il personaggio.

Avati segue con delicatezza la vicenda, evitando qualunque eccesso e qualunque  aspetto dissonante. Non vi è spazio per gli aspetti pubblici dei figli che sono invece raffigurati nel loro dolore intimo e personale, non vi è spazio per eccessi retorici o momenti melodrammatici. La vita e la morte dei personaggi viene rappresentata con un incessante movimento tra il passato e il presente in cui invecchiano e ringiovaniscono a seconda del momento.

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