Lansky – Gangster

Il nostro parere

Lansky (2021) USA di Eytan Rockaway

Quando l’anziano Meyer Lansky viene indagato un’ultima volta dai federali che sospettano che abbia nascosto milioni di dollari in mezzo secolo, il boss in pensione racconta una storia da capogiro, rivelando la verità non detta sulla sua vita.

La figura di Lansky viene sostanzialmente beatificata come accadeva con i Corleone nel Padrino. Se però questa impostazione aveva un senso visto che l’opera di Coppola parlava della mafia con lo sguardo della mafia, lo stesso non si può dire in questo caso poichè il narratore è un giornalista che dovrebbe avere ben chiara la differenza tra bene e male.

Invece, sembra che tutto scorra solo per ingigantire la figura di Lansky, oscurando se non in piccoli casi le vittime. I pochi assassinati che si vedono, infatti, sono solo cattivi o persone che dovevano essere punite per qualche sgarro. Tuttavia, si nota subito come non ci siano vittime innocenti e incolpevoli. Qualcuno potrà obiettare che ciò  dovuto al fatto che la narrazione è fatta in prima persona dallo stesso gangster che volutamente occulta questi lati. Obiezione corretta ma il celare volutamente la mostruosità della criminalità e coloro che ne pagano le conseguenze, è imperdonabile.

Eppure non si può non notare che la sceneggiatura fa una scelta di campo amorale per un personaggio che raramente suscita fascino o interessa. Lansky viene creato come da manuale dello storytelling ma è un’operazione fredda e impersonale. L’espediente narrativo (lo scrittore che intervista facendo partire un flashback) è stato così abusato che non vale la pena soffermarsi ma lo stesso scrittore è un carattere debole, privo di ogni interesse.

Si arriva al finale, scontato per chi conosce un minimo di storia, senza sussulti o momenti da ricordare, con una confusione estrema. Cosa voleva dire il film? Che cosa dobbiamo concludere?

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