di Giovanni Scolari
REGIA: Mario Monicelli SCENEGGIATURA: Age, Furio Scarpelli, Luciano Vincenzoni, Mario Monicelli ATTORI: Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Silvana Mangano, Folco Lulli, Bernard Blier, Romolo Valli, Livio Lorenzon, Nicola Arigliano, Tiberio Murgia, Mario Valdemarin, Achille Compagnoni, Geronimo Meynier, Vittorio Sanipoli, Carlo D’Angelo, Ferruccio Amendola, Marcello Giorda, Elsa Vazzoler, Guido Celano, Gérard Herter, Luigi Fainelli FOTOGRAFIA: Giuseppe Rotunno, Roberto Gerardi, Leonida Barboni, Silvano Ippoliti MUSICHE: Nino Rota 1959 DURATA: 129 Min
MARIO MONICELLI: LA VITA E IL REGISTA
Monicelli (1915–2010) è considerato uno dei padri della commedia all’italiana. Suo padre Tomaso era un importante giornalista. Nel 1935 gira il primo lungometraggio, I ragazzi della via Paal. Si accosta al mondo del cinema grazie all’amicizia con Giacomo Forzano, figlio del commediografo Giovacchino. Sin da giovane si va delineando quel particolare spirito toscano che sarà determinante per la poetica cinematografica del regista (molti scherzi di Amici miei sono episodi che fanno realmente parte della sua giovinezza). Dopo la laurea conseguita a Pisa nel 1941, viene inviato a Napoli per essere imbarcato per l’Africa; dopo l’8 settembre scappa a Roma, dove rimane nascosto fino all’estate del 1944. Nel 1945 è aiuto-regista nel primo film di Pietro Germi. con cui instaurò un profondo legame; egli afferma: “Credo di essere stato uno dei pochissimi amici con cui aveva davvero confidenza”. Infatti, Germi, impossibilitato a fare Amici miei per problemi di salute, chiamò Monicelli per sostituirlo.
Dal 1946 al 1953 fece coppia con Steno come sceneggiatore diventando una delle coppie più ricercate del cinema italiano. Tra le opere migliori Guardie e ladri, del 1951, premiato al Festival di Cannes con il premio alla miglior sceneggiatura. Nel 1957 Monicelli vince il premio al miglior regista del Festival di Berlino con Padri e figli. I soliti ignoti, del 1958, segna l’avvio della cosiddetta “commedia all’italiana” Il film, del quale Monicelli è anche co-sceneggiatore insieme ad Age, Scarpelli e Suso Cecchi D’Amico, rovescia per la prima volta la dialettica di Guardie e ladri con la quale lo stesso regista (insieme a Steno) aveva impostato fin dal 1951 la rappresentazione del rapporto tra autorità e libertà. Quattro anni dopo, Monicelli inverte i ruoli: in Totò e Carolina (1955) lo straordinario attore napoletano non è più un ladruncolo ma un carabiniere e la censura dell’epoca non prende affatto bene l’ironia intorno alle forze dell’ordine: il film subisce pesanti tagli.
Nel 1959 è la volta di La grande guerra, che vince un Leone d’oro ex aequo con Il generale Della Rovere di Rossellini ed ottiene una nomination all’Oscar al miglior film straniero. La grande guerra, lontano dagli stereotipi classici della commedia, svaria notevolmente da un estremo all’altro del registro tragicomico affrontando un argomento doloroso e complesso come la tragedia della Prima guerra mondiale. Nel 1963 è autore de I compagni che gli varrà la seconda nomination ad un premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale: è un film sulla storia del sindacalismo e sulla fratellanza tra operai delle fabbriche. Ne L’armata Brancaleone (1966) mette in scena un singolare Medioevo, costellato dall’uso di un’inedita lingua maccheronica divenuta memorabile nel cinema italiano.
Tra gli altri film di rilievo occorre ricordare La ragazza con la pistola, terza nomination all’Oscar (1968), Romanzo popolare (1974) e i primi due capitoli della trilogia di Amici miei (1975, 1982). Caro Michele vale per Monicelli l’Orso d’argento al festival di Berlino nel 1976. Il film successivo, girato nel pieno degli anni di piombo, ne esprime il dramma: Un borghese piccolo piccolo (1977) è un’opera profondamente drammatica, estranea alle suggestioni tragicomiche delle pellicole precedenti e successive (Il marchese del Grillo, 1981, che pure si avvale di un’ottima interpretazione dello stesso Sordi). Il marchese del Grillo gli fa vincere l’Orso d’argento al festival di Berlino del 1982 per la regia. Negli anni ottanta e novanta, lo sguardo del regista cambia ancora: dal maschilismo di Amici miei si passa all’esaltazione della donna contenuta nell’opera Speriamo che sia femmina (1985).
Il suo attore di riferimento è stato Alberto Sordi, ma ha anche avuto il merito di scoprire le grandi capacità comiche di due attori nati artisticamente come drammatici Vittorio Gassman nei Soliti ignoti e Monica Vitti nella Ragazza con la pistola. Il sorriso amaro che accompagna sempre le vicende narrate, l’ironia con cui ama tratteggiare le storie di simpatici perdenti, caratterizzano da sempre la sua opera. Con l’avanzare dell’età la sua attività è gradualmente diminuita ma non si è mai fermata, grazie ad una forma fisica e mentale sempre buona. A dimostrazione di questo, a 91 anni è tornato al cinema con un nuovo film, Le rose del deserto (2006).
IL FILM
Nei primi giorni del gennaio ‘58 Dino De Laurentis annuncia il prossimo inizio delle riprese del film. Tra i protagonisti sua moglie Silvana Mangano. È il nome degli altri due attori principali a provocare subito una levata di scudi. La presenza di Alberto Sordi e di Gassman (qua si teneva conto più dei suoi precedenti cinematografici piuttosto di quelli teatrali) determina la reazione delle associazioni d’arma che temono un tono da commedia che svilisse il ricordo dei combattimenti facendoli sprofondare nella risata facile e nella volgarità gratuita. Gli uffici di Andreotti, fin dall’inizio della Repubblica potentissimo nell’ambito della censura e del cinema, risolvono i problemi che sono sorti solo sulla base di pregiudizi, senza che fosse ancora girato un solo metro di pellicola.
Le riprese avvengono tra giugno ed agosto del ‘58 vicino Udine, precisamente tra Tenzone, Gemona, Sella Sant’Agnese e Nespoleto. Il più serio problema tecnico fu girare in estate le scene ambientate, invece, in inverno. Gli attori fingevano di essere terribilmente infreddoliti, insaccati in abiti pesantissimi nonostante la temperatura elevata che c’era. Va riconosciuta la grande perizia dei tecnici che hanno riprodotto il clima invernale perfettamente giocando con le tonalità del bianco e nero.
Tra gli attori vi sono anche numerosi caratteristi di valore come Nicola Arigliano, Bernard Blier, Tiberio Murgia (sempre nel ruolo del siciliano), Folco Lulli, Ferruccio Amendola, RomoloValli, Mario Valdemarin. Da ricordare anche la presenza del pugile Tiberio Mitri e del mitico Achille Compagnoni, eroe del K2, nel ruolo del cappellano.
Fin dalle prime proiezioni il film ottiene un successo straripante. Prima arriva il LEONE d’oro a Venezia come miglior film ex aequo con il GENERALE DELLAROVERE, poi l’enorme successo di pubblico.
Il film non si sofferma sulle ragioni politiche ma sottotraccia si colgono gli argomenti drammatici. La critica affermò che “si ride amaramente”, una giusta annotazione che spiega il riscontro di pubblico. A questo si aggiunge che si misero in campo degli stereotipi regionali i cui vertici erano Gassman (Milano e la Lombardia operosa), Sordi (la capitale pigra, Roma), Mangano (il veneto pratico e ruvido).
Monicelli spiegò che “L’idea era far conoscere la vera storia della guerra”. Per questo motivo ricco fu l’apparato bibliografico di riferimento che permise agli sceneggiatori di ricostruire una guerra vera, anche se spesso edulcorata nei contenuti. Il regista affermò di essersi ispirato alle opere di Jahier e Lussu. Proprio da quest’ultimo fu rispettosamente “rubato” l’episodio della gallina. Bisogna, tuttavia, sottolineare che la storiografia ufficiale imperante rappresentava il conflitto come la 4^ guerra d’indipendenza, il compimento della missione nazionale del Risorgimento.
NOTE CINEMATOGRAFICHE
Il film è ambientato tra il 1916 e il 1917.
Nell’incipit i due protagonisti si caratterizzano subito come due scansafatiche, pochi di buono che cercano di imboscarsi. Tuttavia in Busacca (Gassman) vi è un forte richiamo a Bakunin. È un citazionismo peloso che non dà mai seguito ad effettive posizioni politiche, ma è sintomo di una coscienza sociale sviluppata nei precedenti anni di durissime lotte sindacali. L’uomo è appena uscito di prigione, ma non viene mai detto il motivo della sua condanna: è un mariuolo con simpatie anarchiche oppure è vittima di discriminazioni politiche? Bisogna ricordare che il partito Socialista si era sempre opposto alla guerra, dichiarandosi convintamente neutralista. Una linea che aveva isolata la forza politica, discriminata e indicata come una delle cause delle difficoltà del fronte.
La scelta di dividere il film in diversi quadri, ognuno sottolineato dalle note di una famosa canzone di guerra, è molto felice. Permette allo spettatore una visione dei problemi del fronte, una visione semplificata certo, priva di tensioni intellettuali profonde, ma non per questo meno vera.
Il personaggio di Sordi è la classica maschera popolare. Più di Gassman, l’attore romano aveva interpretato diversi ruoli in cui aveva rappresentato l’italiano medio, talvolta opportunista, pavido e infingardo. Silvana Mangano, invece, compie una scelta controcorrente. In lei era già in atto un percorso di affinazione interpretativa che in quest’opera trova un momento importante. La sua recitazione è molto più felice, libera, profonda dei suoi primi ruoli. La sua prostituta è vitale, ricca di tonalità. I libri di storia ci raccontano che molte prostitute sono state inviate al fronte per rendere più accettabile la guerra. Eppure la Mangano riesce a conferire una dignità al suo personaggio.
Infine, bisogna rilevare l’efficacia della ricostruzione degli scontri.
Diversi sono gli aspetti della guerra raffigurati nel film in differenti momenti:
• Le uscite per le perlustrazioni ed i reparti d’assalto. Uscite spesso impossibili, quando non inutili.
• I rapporti tra ufficiali e soldati (considerati carne da macello, espropriati di ogni diritto), ma anche tra gli ufficiali superiori (sempre al riparo nei propri uffici e dediti ad una vita agiata ed irresponsabile) e gli ufficiali di reparto (ammutoliti di fronte alle insensate stragi provocate dagli sbagli del comando, spesso loro stessi vittime)
• Le fucilazioni sommarie verso i nemici, considerati automaticamente spie per aggirare le convenzioni sui prigionieri di guerra. Inoltre, le fucilazioni ai disertori e, soprattutto, il fenomeno della decimazione (esecuzione punitiva di un gruppo di soldati del proprio esercito scelti per sorteggio).
• Le condizioni dei combattenti nelle trincee, tra il fango, la sporcizia e i cadaveri sparsi ovunque.
• La pessima qualità del rancio e dell’equipaggiamento, spesso dovute agli abusi dei profittatori di guerra.
• Prime forme di divismo. Francesca Bertini, star dell’epoca, è il sogno proibito del soldato siciliano.
• Le donne a casa non sempre aspettano gli uomini. Coloro che sono rimasti approfittano della paura dell’incertezza che coglie queste donne, per la prima volta realmente libere nel proprio posto di lavoro di provare una forma di autonomia fino ad allora sconosciuta.
Splendido, infine, l’episodio di Civitella. Mentre i politici ed i ricchi borghesi inneggiano alla bellezza della guerra con discorsi ampollosi e poesie di stampo dannunziano, passa il reparto in licenza. I volti dei soldati stanchi, feriti e laceri smentiscono ogni retorica e forniscono senza alcuna parola il senso della disumanità d ogni forma di conflitto.
NOTE STORICHE
È noto che la discussione in Italia sull’opportunità o meno di entrare in guerra fu molto intensa e vivace. Da un lato il Partito Socialista era rigorosamente neutralista come il Vaticano e la maggioranza dell’opinione pubblica. Di questo sentimento si fece portavoce Giolitti, dominus della politica italiana nel decennio precedente. Anche lui, però, fu insultato, diffamato, considerato servo o complice degli austriaci.
Dall’altro lato gli interventisti potevano contare sull’appoggio di industriali e finanzieri che volevano eliminare il controllo tedesco sull’economia. Tra chi auspicava l’entrata nel conflitto, vi era il direttore del corriere della Sera Albertini il quale sosteneva che la neutralità era una fuga vergognosa di fronte alle responsabilità.
La trattativa con gli austriaci fallì dopo numerosi alti e bassi. Entrambe le parti non si fidavano dell’altro e giustamente. L’Italia giocava su due tavoli per essere sicura di assicurarsi i maggiori vantaggi possibili. In Austria pensavano che “le promesse estorte con le minacce” non erano vincolanti e potevano essere rimangiate dopo la vittoria.
Il Re era favorevole alla guerra e sorresse Salandra nelle sue “spericolate” avventure diplomatiche che portarono l’Italia nel conflitto. Il paese accettò così il proprio destino con rassegnazione.
Nel marzo del 1914 il ministro della guerra mentì a Calandra dicendogli che i magazzini militari erano pieni. Solo poco più della metà dei soldati avrebbe avuto, invece, il giusto equipaggiamento. A dicembre, però, la situazione era cambiata. Le spese militari passarono dai 148 milioni del periodo agosto/settembre ai 602 di ottobre/novembre. Il paese era pronto per la guerra
Le vittime predilette di questo conflitto furono i contadini. Essi giudicavano la guerra un prodotto dei signori e delle città che li avrebbe penalizzati. Infatti, i contadini diedero il maggior contributo umano con una percentuale di richiamati del 50%. Inoltre, non beneficiarono di permessi neppure durante il periodo di raccolto e le loro famiglie furono soggette a requisizioni di merce e bestiame.
La Strafexpedition (spedizione punitiva voluta dai comandi austriaci), nel 1916, fece svanire ogni illusione di vittoria facile, portando alla luce i problemi che colpivano la nostra nazione, ovvero:
1. le tasse erano state significativamente aumentate
2. i problemi della guerra non erano stati previsti e avevano colto governo ed opinione pubblica impreparati
3. Un difficile clima politico con accuse reciproche tra liberali e interventisti sulla conduzione della guerra
4. La rottura verso i socialisti considerati disfattisti e responsabili delle sconfitte.
Quando la produzione industriale era difettosa, inefficiente e scorretta la colpa ricadeva sempre sul nemico. La sua “mano” ed il disfattismo interno erano additate come le cause della prosecuzione del conflitto. In modo particolare l’Ansaldo utilizzava questo sistema per coprire le proprie carenze.
Malgrado ciò, i profitti medi delle Società industriali tra il 1914 e il 1917 passarono dal 4,26% al 7,7%. Contemporaneamente, l’indice dei salari medi (1913=100) scende al 99,7 nel 1914 e al 64,6 nel 1918. I disagi sono maggiori soprattutto per le famiglie dei militari al fronte. Il calo dei consumi medi dei principali alimenti di base si aggira al 5/10%, a seconda dei casi.
Qualcuno, però, se la passava bene. Erano i profittatori che sperperavano manifestamente e ostentatamente mentre la moltitudine attraversava un grave periodo di difficoltà.
Per soffocare il malcontento popolare, lasciano via via Salandra e Boselli. Il pugno duro viene ribadito anche tra i civili. Si applica il controllo dei militari nelle fabbriche per evitare scioperi o contestazioni, mentre la giornata lavorativa viene portata fino a 16 ore.
Il fronte interno non trova mai un’effettiva forza. Nell’aprile del 1916 alla conferenza internazionale socialista viene chiesta la pace “senza annessioni e indennità”. Crescono, di conseguenza, le richieste per concludere il conflitto che ha già provocato milioni di morte nel mondo. Nel 1917 la sconfitta di Caporetto accende la miccia della protesta. Scoppiano numerosi tumulti. Torino rimane diverse volte senza pane. Gli anarchici entrano in azione soffiando sul fuoco della contestazione e scavalcando i socialisti.
Cadorna addossa tutte le colpe alla viltà dei soldati. Nella sua disanima non c’è spazio per una seria autocritica e per un’analisi delle terribili disfunzioni degli alti ufficiali (Badoglio in testa). Diaz tenne il Piave ma ci vollero 10 mesi per far riprendere l’offensiva.
La guerra si concluse con 600 mila morti italiani più 500 mila mutilati.