La forma dell’acqua. Ispirata poesia

Il nostro parere

La forma dell’acqua (2017) USA di Guillermo Del Toro

In un laboratorio governativo Elisa, inserviente muta, scopre un esperimento segreto che cambia la sua vita per sempre. Un essere anfibio è prigioniero e ferito ma lei saprà con i gesti e le azioni conquistarlo.

Ci sono film che hanno bisogno di tempo per farti capire le loro ragioni, altri che permangono nella testa e nel cuore a disturbarti o ferirti, altri ancora che ami fin dalle prime immagini, conquistati dallo stile e dal fascino della composizione che ammiri. La forma dell’acqua è uno di questi ultimi grazie anche alla fotografia di Dan Laustsen che non ha avuto l’Oscar solo perchè ha incontrato un gigante come Deakins in uno dei suoi film più ispirati e complessi. Diversamente, saremmo qua a parlare della magnifica viratura in verde dell’opera di Del Toro.

Il regista messicano  punta a recuperare le tematiche della fiaba classica, secondo i canoni codificati da Propp, con l’esplicito omaggio a La bella e la Bestia, ma richiama anche i classici della fantascienza strizzando l’occhio pure all’horror attraverso l’identificazione iconica con  il “mostro della laguna nera” di Jack Arnold. Inoltre, inserisce una dimensionalità dei personaggi che evita una contrapposizione manichea tra bene e male. Elisa è una donna con una propria forte sessualità che accetta e non nasconde, a differenza dell’omosessualità del suo vicino Giles o del represso Strickland. Chi vive in libertà è lei, insieme al suo “mostro”. Il resto del mondo è prigioniero di convenzioni sociali, di incomprensioni, di finzioni e ipocrisie. La spia russa deve decidere se privilegiare la scienza oppure la politica, scegliendo la prima a rischio della vita. Strickland ha una bella famiglia che vive come un’appendice inutile. Giles ama il commesso di un caffè ma l’immagine di questo giovane è l’opposto della sua anima, bigotta e razzista. La vetrina del mondo è un’insopportabile menzogna mentre la mostruosità apparente contiene la purezza.

Emerge semplicemente la passione e l’amore infinito che Del Toro nutre verso il cinema, strumento di fantasia e sogno, ma anche poetico e consolatorio. I suoi “mostri” hanno negli anni (con grandi alti e bassi, va detto), rappresentato non solo un modo di proporsi, ma soprattutto una visione della vita. In questa occasione, come nel già riuscito Il labirinto del fauno, l’incontro tra la purezza di una donna e la mostruosità si risolve in un riconoscimento tra anime, perchè l’aspetto inganna più di ogni altra cosa.

Bravissimi gli interpreti tra cui spicca Sally Hawkins. Straordinario tutto l’apparato tecnico di altissimo livello premiato con l’Oscar alla scenografia e alla colonna sonora.

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